“Bravo, bravo, bravo”: se a dirlo è addirittura quel maestro di Quentin Tarantino allora possiamo stare davvero tranquilli. Destinatario di così celebri complimenti è Jane Campion, regista di Bright Star, il commovente film sugli ultimi due anni di vita di John Keats. Londra nel 1818. Inizia qui la relazione segreta tra il ventitreenne poeta inglese (Ben Whishaw), squattrinato e apparentemente senza speranza di fama, e la sua vicina di casa, l’appassionata di moda e sfacciata Fanny Brawne (Abbie Cornish). I due sono quanto di più diverso si possa incontrare: hanno aspirazioni agli opposti e modi di affrontare la vita che divergono profondamente. Eppure la morte di Tom (Olly Alexander), fratello del poeta, li avvicina e li lega in maniera indissolubile e il loro essere inizierà a modellarsi a quello dell’altro. La loro relazione sfiora i toni dell’ossessione romantica e diviene ogni girono più intensa, toccando picchi di struggimento e disperazione soprattutto quando si ritrovano a dover affrontare i diversi ostacoli imposti dalla vita e dalla società del tempo. “Mai innamoramento è stato così realisticamente e cinematograficamente ritratto come la scena in cui Abbie sta portando John nel suo letto e i due si baciano e di toccano.” E noi non possiamo che essere d’accordo con Quentin. Abbie Cornish e Ben Whishaw riescono a donare ai loro personaggi una realtà e un’intensità così forti da oltrepassare lo schermo. Le loro emozioni sono vere, tangibili, empatiche; estrapolate dalle schematizzazioni di un’epoca, quella romantica, dove tutto sembra essere circoscritto in regole ferree ma effimere. La storia di John Keats, morto a soli ventisei anni senza che il suo valore poetico fosse stato riconosciuto, è struggente da copione, eppure la sceneggiatura riesce a trasformarla in qualcosa di assolutamente non scontato; una vicenda raccontata al ritmo di una ballata, che accompagna lo spettatore cullandolo tra i sofferti versi del poeta. Perdersi nell’oblio creato dalla Campion è davvero un piacere… bravo, bravo, bravo.