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Il ponticello sul fiume dei guai

01/08/2010 10:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Il ponticello sul fiume dei guai

Vi sono attori che solo grazie alla loro bravura e simpatia riescono a tenere a galla anche pellicole non propriamente memorabili...

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Vi sono attori che solo grazie alla loro bravura e simpatia riescono a tenere a galla anche pellicole non propriamente memorabili. È questo il caso di Jerry Lewis che, da antenato "cinematografico" di Jim Carrey, poteva - grazie alla sua mimica - offrire spunti di interesse anche laddove fossero potenzialmente scarsi. The Geisha Boy, tradotto in italiano con l'improbabile Il ponticello sul fiume dei guai (stramba citazione da Il ponte sul fiume Kwai), ha proprio come punto di forza l'interpretazione del suo succitato protagonista, essendo per il resto pregna di tutti i pregi e i difetti delle commedie commerciali d'Oltreoceano degli anni '50 e '60. Ambientato nel lontano Giappone, a non troppi anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, è ammantato di quel buonismo legato a un senso di colpevolezza che finisce per tratteggiare il nobile popolo nipponico in maniera alquanto macchiettistica, tecnica fin troppo abusata dagli States per raccontare le culture estranee alla loro.


Gilbert Wooley (Jerry Lewis) è un prestigiatore pasticcione che ha l'incarico di recarsi in Giappone per dare spettacoli alle truppe di stanza in luogo. Sull'aereo dove è imbarcato, finisce per creare diversi equivoci con una diva (Marie MacDonald) che viaggia con lui per lo stesso motivo, e fa innamorare una bella assistente di volo (Suzanne Pleshette). Giunto a destinazione, fa la conoscenza di una bella ragazza giapponese e del suo nipotino di sei anni. Il bambino vede in Gilbert una sorta di figura paterna, e gli si affeziona incredibilmente. Tra i due cresce un solido rapporto, che rischia però di venir guastato dagli incredibili disastri che il prestigiatore combina ovunque, e che vedono la sua permanenza nella terra del Sol Levante a forte rischio.


La prima parte è sicuramente la più riuscita del film: una serie di gag inarrestabili in cui Lewis dà il meglio delle sue doti comiche, finendo per scatenare più di qualche risata spassionata. Peccato che l'entusiasmo iniziale venga smorzato, appena trenta minuti dopo, da una sceneggiatura che sceglie di virare verso un lato drammatico - molto vicino al patetico. La pellicola scade così nel buonismo più efferato, con la crescita di una relazione quasi paterna che stona incredibilmente con il contesto. Messo da parte anche il triangolo amoroso innescato nelle battute iniziali, la figura delle due donne esce totalmente di scena, lasciando soltanto il crescere di questo legame tra adulto e bambino, e impedendo a Lewis di sfoderare le sue carte migliori. Tralasciando inoltre i fastidiosi stereotipi sui giapponesi, il cui modus vivendi è totalmente astratto e incapace di offrire una visione quanto meno superficiale ma veritiera del mondo d'Oriente, la storia prende a noia e impedisce la boria totale solo a qualche scattante guizzo nel finale. Azzeccata invece, seppur sin troppo abusata, la scelta come compagno di "lavoro" del protagonista di un simpatico coniglietto bianco, ideale per siparietti divertenti e gustosi, con tanto di epilogo alla Looney Tunes. Se siete fan del grandissimo Jerry avete sicuramente dei buoni motivi per apprezzarne la visione, consci del fatto che non è uno dei suoi film più riusciti.


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