Il fascino di un certo tipo di cinematografia, fatta di muscoli, pallottole e tante, tante esplosioni è “duro a morire”: mette a nudo il lato più istintivo e ferale dell’uomo, e regala ogni volta un paio d’ore di intrattenimento politicamente scorretto, una continua ed esaltante applicazione della più ferrea legge del (molto) più forte, condita da battute di un’ironia che solo i veri duri sanno esprimere al meglio. Anche se nuove figure si affacciano dal grande schermo per ereditarne i ruoli, i veri trascinatori del genere sono così noti da essere entrati nell’immaginario collettivo e si sono (quasi) tutti raccolti in I Mercenari, vera summa dell’action movie di vecchia scuola. Per chiunque abbia vissuto gli anni ’80 e ’90 in compagnia dei vari Rambo, Commando, Die Hard & co., immaginare epici scontri fra Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis e Mickey Rourke era quasi un sogno proibito, destinato a rimanere una fantasia inespressa. Consapevole del proprio ruolo nella storia del cinema d’azione e adottando un’impostazione che sembra sospesa fra la sentita celebrazione di un mito e una lucidissima prospettiva d’incasso, Stallone ha dato vita a quella fantasia, radunando sotto la propria direzione tutti gli attori sopracitati, e aggiungendovi, fra gli altri, Jason Statham, Jet Li, Dolph Lundgren, Terry Crews, Randy Couture, Eric Roberts. La storia di I Mercenari è il tipico canovaccio minimo necessario ad innestare quante più possibilità di far esplodere cose e/o persone sia immaginabile: gli Expendables, un gruppo di mercenari il cui motto è portare a termine la propria missione a qualsiasi costo, sono chiamati a portare giustizia in una fittizia isola del centro-america, Vilena, in cui il dittatore locale vessa la popolazione in combutta con uno spietato ex agente segreto, col bieco fine di massimizzare il profitto che ottiene dal traffico di stupefacenti. L’evolversi della storia vede presentati tutti gli elementi che hanno reso mitici i film d’azione: dallo spropositato uso di armi ai combattimenti corpo a corpo senza esclusioni di colpi, dalla morale manichea che consente l’uso di qualsiasi mezzo (perché i cattivi sono cattivissimi), alla psicologia del reduce che sa di essere dannato, ma che non saprebbe vivere altrimenti... Stallone mixa tutti questi ingredienti in un’opera che potrebbe certamente essere presa come paradigma del genere, che intrattiene piacevolmente e regala i suoi momenti “epici”, ma non offre quel qualcosa in più che ci si sarebbe aspettati da un cast di tale spessore: con così tanto materiale umano, ritagliare il giusto spazio per ognuno era un’impresa disperata, ed infatti salvo Stallone e Statham, agli altri eroi sono riservate brevi sequenze in cui coprirsi di gloria, senza la possibilità di approfondire la conoscenza di personaggi che restano per lo più sullo sfondo o che, nel caso di Willis e Schwarzenegger, si limitano ad un pur prezioso cammeo. L’enorme cast di cui si compone è pertanto il punto forte e il punto debole di un film in sé assolutamente godibile, non esente da difettucci di sceneggiatura e limitato da un accompagnamento musicale sottotono, ma comunque in grado di regalare momenti di grande soddisfazione e spettacolarità.