Paolo (interpretato da Paolo Sassanelli) non si riconosce nel figlio Matteo (Davide Nebbia) un sedicenne goffo e impacciato, in poche parole un bamboccione, e non vede in lui quelle qualità che lo hanno reso un uomo di successo. Matteo ricerca l’attenzione del padre, ma non riesce a comunicare con lui. L’imprevisto arrivo di una ragazza all’interno della famiglia conduce Matteo a far emergere le proprie emozioni. Dopo Il silenzio intorno, Dodo Fiori torna ad occuparsi del conflitto tra padre e figlio con questo suo secondo lungometraggio. Attraverso un’analisi della mancanza di comunicazione in una famiglia alto-borghese, il film affronta l’influenza del rapporto con i genitori nella vita di un adolescente. In sostanza gli affetti sono subordinati alle strategie e alle buone maniere e i pasti non sono occasione di convivialità ma di silenzio. Il problema è che i dialoghi non hanno alcuno spessore, la rappresentazione della realtà è manichea (ricchi contro poveri) ed eccessiva (Matteo non ha mai preso un autobus in vita sua) e non c’è un adeguato sviluppo cinematografico del racconto, per una sceneggiatura a sei mani con Hedrun Schleef e Diego Ribon (autori del copione di Good Morning Aman, film prodotto dallo stesso Fiori) che non regge. Inautentico come la vita borghese risulta La strategia degli affetti: più che un dramma sociale un melodramma da camera, dalle atmosfere soap alla Incantesimo.