19 ottobre 1987, ovvero “il lunedì nero di Wall Street”. L’indice Down Jones registrò il più grande tracollo giornaliero di sempre: -22,6%, un picco tanto basso da superare persino l’indice negativo del famoso crollo della borsa del 1929. Stessa sorte toccò, inevitabilmente, anche ai mercati europei, che vennero trascinati a picco, e quando su Wall Street non era ancora sorta l’alba, anche le borse asiatiche erano andate al ribasso. I motivi furono principalmente il rientro di grosse quantitativi di denaro in Giappone dagli Stati Uniti e una sopravvalutazione delle azioni di stato americane. Neanche due mesi dopo il verificarsi della suddetta crisi finanziaria, uscì nelle sale americane Wall Street, quinta fatica cinematografica del regista Oliver Stone, già considerato politicamente impegnato dopo pellicole sulla guerra del Vietnam (Platoon, 1986) e la guerra civile in El Savador (Salvador, 1986). Ambientato nel 1985, il film racconta l’ascesa di Buddy Fox (Charlie Sheen) da anonimo broker a spietato magnate dell’alta finanza, disposto a tutto pur di diventare qualcuno. “La vita si condensa in pochi attimi” dice, prima di incontrare il cinico finanziere Gordon Gekko (Michael Douglas). Buddy riesce a farsi accogliere sotto la sua ala protettrice e tra i due si instaura un doppio gioco di padre/padrone e, alle spalle, di burattinaio/burattino, che porteranno Buddy a diventare nient’altro che una fotocopia di Gekko: spietato, meschino e avido fino al midollo. Oliver Stone gira un film asciutto e veloce, riuscendo a gestire bene le emozioni e non far subentrare mai la noia nonostante la non facile accessibilità dell’argomento. Per tutto i suoi 125 minuti di durata, la pellicola riesce nell’ardua impresa di non perdere mai un colpo, mantenendo un ritmo incalzante nonostante si addentri a più riprese nel complesso mondo della finanza, trattando di compravendite e speculazioni monetarie. Stone ritrae con ferocia uno spaccato della società affrescando un brillante film di denuncia non contro il capitalismo in sé, bensì contro gli avidi speculatori il cui unico interesse è accumulare denaro sfruttando le incongruenze del libero mercato. Buoni propositi, insomma, peccato che gli si ritorsero contro come un effetto boomerang. All’uscita nelle sale, con la crisi che era ancora una ferita aperta, il messaggio d’allerta lanciato da Stone venne colto dalla maggior parte del pubblico come un’ode al dio denaro e Wall street diventò una sorta di manuale di sopravvivenza per la nuova generazione di broker, banchieri e finanzieri che si apprestavano ad affacciarsi sul mondo del lavoro. Come se non bastasse, l’anno successivo Michael Douglas vinse l’Oscar come miglior attore protagonista (a cui si aggiunsero anche Golden Globe e David di Donatello) per il ruolo di Gordon Gekko, spietato squalo della finanza, la cui filosofia di vita è racchiuso nello splendido monologo sull’avidità che declama a metà film. La monumentale interpretazione di Douglas favorì l’ascesa del mito, mettendo in ombra il vero messaggio di Stone e la parabola di Charlie Sheen/Buddy Fox, che nel momento in cui si accorge di quello in cui Gekko lo ha trasformato, decide di redimersi. Ottima anche la sua prova, che rivela al pubblico l’alto potenziale dell’attore, peccato che negli anni novanta sia rimasto impantanato nel ruolo comico cucitogli addosso dalla saga di Hot Shots!