Vincitore della Palma d’oro come miglior film nell’ultima edizione del Festival di Cannes, arriva sui grandi schermi italiani Lo zio Boonmee che si ricorda delle vite precedenti del regista thailandese Apichatpong Weerasethakul, noto in ambito artistico anche per le sue videoinstallazioni. La pellicola è stata concepita come facente parte del Primitive Project, un progetto realizzato nella provincia di Isan, nel nordest delle Thailandia, che raccoglie diversi lavori svolti insieme ad alcuni ragazzi del villaggio di Nabua inerenti al tema della memoria. La storia narra di Boonmee (Thanapat Saisaymar), un uomo malato ormai da tempo di insufficienza renale cronica, che decide di passare gli ultimi giorni della sua vita in una casa in campagna circondato dai sui cari. Un giorno, durante la cena, gli appaiono il fantasma della moglie defunta Huay (Nattakarn Aphaiwonk) e del figlio Boonsong (Geerasak Kullhong) scomparso misteriosamente da tempo; vista la loro presenza Boonmee si rende conto di essere vicino alla morte e inizia a riflettere sulla sua vita e sul significato dell’esistenza; per farlo ha bisogno di entrare in stretto contatto con la natura, perciò decide di attraversare la giungla e recarsi in una misteriosa caverna dove spera di ricongiungersi con tutti i suoi io passati. Lo zio Boonmee che si ricorda delle vite precedenti è un film che lascia lo spettatore spiazzato, nel bene e nel male. Contrario alle convenzioni spettacolari contemporanee alle quali siamo ormai tanto assuefatti, è a metà strada fra la semplicità primitiva del cinema delle origini - con frequenti inquadrature fisse ma narrativamente dense - e i vecchi sceneggiati televisivi in 16mm che facevano uso di un’illuminazione molto forte e diretta, in cui le battute venivano suggerite agli attori che le ripetevano meccanicamente. Allo stesso tempo però il film appare come un’opera visionaria e difficile da descrivere perché il racconto si dispiega su più livelli narrativi contemporaneamente mescolando il soprannaturale e il quotidiano. Se Boonmee è di nome il protagonista, di fatto non è su di lui in quanto individuo che ci si concentra ma su di lui in quanto essere e quindi insieme di altri esseri che sono stati nelle vite precedenti. Al centro è dunque posto il processo mitico-religioso della trasmigrazione e della reincarnazione dell’anima in un novo corpo fisico che, reso cinematograficamente, si traduce in una serie di immagini di vite diverse e collegate che appaiono in maniera confusionaria sullo schermo. Chi è e chi è stato Boonmee? Boonmee è stato una donna, un soldato, un pesce gatto, un’ape, un bisonte, una mucca, un albero, uno spirito, una scimmia. Ripercorrere le vite passate è l’unico modo per trascendere se stessi, entrare in comunione con la natura, con il mondo e poter rendere l’anima libera di rinascere. Weerasethakul compie un viaggio talmente interiore che fatica ad esteriorizzarsi e a rendersi chiaramente leggibile. Il flusso di immagini, alcune delle quali particolarmente toccanti, destabilizza è fa vacillare la razionalità con lo scopo di far sì che ci si perda nei meandri dell’inconscio allo stesso modo di Boonmee. Ma l’itinerario allucinatorio che passa in rassegna i personaggi più disparati lascia l’osservatore esterno perplesso e non in grado di penetrare l’atmosfera spirituale del film; quello che si avverte alla fine è più che altro un senso di smarrimento.