L’uscita nei cinema del film di Mortal Kombat suscitò molto scalpore oltre a riscuotere un discreto successo, inaugurando il filone di film-videogame che da lì a qualche anno (era il 1995) sarebbe fiorito rigoglioso. La pellicola di Paul W. S. Anderson riuscì a rastrellare nelle sale ottimi incassi, lasciando i fans del picchiaduro originale entusiasti della trasposizione più che fedele che ne era stata fatta. Insomma, le basi per poter mettere in cantiere un sequel c’erano tutte: in meno di un anno e mezzo, ecco che Mortal Kombat - Distruzione totale arrivò nelle sale cinematografiche. A scanso di ogni equivoco: i film tratti dai videogiochi non sono mai brillati per la loro originalità o forza narrativa, ma è difficile immaginare un prodotto meno riuscito di Mortal Kombat - Distruzione totale, che quasi fa rimpiangere gli adattamenti di Alone in the dark e House of the dead di Uwe Boll.
La scena d’apertura coincide con quella finale del primo film: i protagonisti, tornati vincitori dal torneo, festeggiano nei pressi del Tempio dell’Ordine della Luce quando Shao Khan (Brian Thompson), Re di Outworld, si materializza tra di loro, reclamando il dominio sulla Terra. Con sei giorni a disposizione, Liu Kang (interpretato ancora da Robin Shou), Sonya Blade (Sandra Hess), Ryden (James Remar) e la principessa Kitana (Talisa Soto) dovranno sconfiggere le orde di Khan capitanate dai migliori combattenti di Outworld.
Pur essendo direttamente consequenziale al film di Anderson, Mortal Kombat - Distruzione totale, sin dai primi minuti, prende le distanze dal proprio predecessore, provando a infarcire la storia di una (eccessiva) serietà che risulta decisamente fuori luogo dal momento che si parla di altre dimensioni, sovrani di universi e mostri mitologici (come Motaro il centauro), oltre che evidenti incongruenze (Scorpion era stato ucciso da Johnny Cage ma qui riappare vivo e vegeto). In secondo luogo, altra falla è rappresentata dai personaggi, che nel primo film erano sì molti, ma comunque ognuno di loro godeva di un proprio spazio vitale utile per tratteggiarne i profili psicologici (anche se rimanevano comunque macchiettistici e bidimensionali). Qui sembra quasi che l’intenzione del regista sia quella di includere praticamente tutti i personaggi del videogioco rimasti esclusi dal primo film. Il risultato è un sovraffollamento inconcludente, che non riesce a mettere a fuoco nessuno dei personaggi (alcuni, specialmente i cattivi, non hanno nemmeno una giustificazione: compaiono in scena, combattono e muoiono). Ma sarebbe troppo facile additare agli sceneggiatori Brent V. Friedman e Bryce Zabel (le cui carriere decisamente non sono costellate di successi) tutta la colpa. La regia di John R. Leonetti è pressoché inesistente: il film scorre piatto dall’inizio alla fine e persino le abbondanti scene picchiaduro, che dovrebbero rappresentare il fulcro del film, risultano pacchiane e ripetitive. Stesso discorso vale per i costumi (Smoke e Cyrax sono a dir poco imbarazzanti), scenografie posticce ed effetti speciali CGI tanto pretenziosi quanto irreali. Insomma, più che distruzione totale, sarebbe più esatto parlare di disastro totale: un film che non riesce a soddisfare nessun palato, nemmeno quello degli appassionati irriducibili, pretenzioso e inconcludente, per non dire totalmente inutile.