Esordio alla regia per Wes Llewellyn, che riversa nella sua prima creatura tutti i propri principi e visioni sul mondo e sul destino dell’uomo, ovvero quanto di più evangelico, provvidenziale e spirituale si possa immaginare. Non si tratta però di un documentario sui dettami del Cristianesimo – sebbene ne metta in luce gran parte degli ideali positivi – anzi, nella pellicola vengono riproposti degli stilemi che spesso rimandano al thriller pre-apocalittico, coi dovuti distingui ritmici e scenografici naturalmente. I continui riferimenti espliciti a Gesù e al Vangelo sono in ogni caso il refrain centrale delle varie vicende e la loro presenza inonda col passare del tempo tutto ciò che gli sta intorno. Regista e produttori d’altra parte non hanno certo tentato di nascondere il forte messaggio religioso che vorrebbero filtrasse, puntando il dito contro lo smarrimento di alcuni valori universali come la tolleranza e la condivisione, a favore di una bieca spinta globalizzatrice e illusoria. Il mondo è in preda al panico. Gran parte della popolazione è scomparsa improvvisamente a causa di eventi misteriosi. Ad indagare sulle circostanze delle sparizioni sono due componenti dell’FBI, l’agente Riley e l’agente Berkeley. Dalle prime analisi sui casi, i due scoprono come tutti gli esseri umani svaniti fossero dei ferventi credenti nel Signore. Nel frattempo, i governi di tutto il mondo decidono di intraprendere la via dell’unione economica e legislativa, rimettendo tutti i propri poteri in capo all’Alleanza Globale, con il compito di raggiungere questa uniformazione prestabilita. I corpi paramilitari dell’organizzazione sembrano però misteriosamente ostacolare le indagini dei due detective e le manifestazioni religiose locali. Se non ci fossero le immagini e un risicato straccio di trama, ci troveremmo di fronte a una lunga predica in piena regola. I riferimenti biblici iniziali conferiscono perfino una buona dose di suspense e mistero che farebbe pensare quantomeno al solito blockbuster catastrofico a stelle e strisce, dall’happy ending tanto sospirato, quanto scontato. Al contrario, col passare dei minuti la presenza della struttura narrativa si affievolisce, per lasciare spazio ad un bombardamento continuo di messaggi evangelici fini a se stessi e stridenti col resto del contesto, forse plausibili solo per il fedele più illuminato. Si potrebbe pensare ad un fan service, ma l’arrivo improvviso dei titoli di coda spegnerà tutte le residue illusioni. Vero è d’altra parte che la pellicola punta ad un target ben preciso dal profilo ben definito, ma se di film deve trattarsi è doveroso chiedersi che fine abbia fatto quel primo abbozzo di storyline. Che il cinema possa rappresentare anche e soprattutto un contenitore per la trasmissione di talune convinzioni e pensieri è innegabile, ma allo stesso tempo la trasposizione di essi sul grande schermo difficilmente può essere portata in scena senza un’adeguata struttura di sostegno, come può essere appunto una sceneggiatura coinvolgente. Con tutta la buona fede possibile, sarebbe imperdonabile non dare un giudizio negativo.