Presentato nel 2009, fuori concorso, al Festival Internazionale del Film di Roma, The City of Your Final Destination (uscito nelle sale italiane l'8 ottobre 2010, intitolato Quella sera dorata) è l'ultimo lavoro del leggendario, raffinatissimo, James Ivory. Quasi due ore di perfetta fotografia ed atmosfere iperpatinate, supportate da un cast di altissimo livello, per trasporre filmicamente l'omonimo romanzo di Peter Cameron, artista decisamente poco noto in Italia che sta vivendo un periodo di estrema popolarità. Omar Rezaghi, giovane dottorando iraniano dell'Università del Kansas, ha una sola possibilità di salvare la propria carriera accademica: scrivere la biografia dello scrittore Jules Gund, morto suicida. Il solo modo per farlo è possedere l'autorizzazione dei familiari ma gli viene negata. Rezaghi decide, allora, di recarsi in Uruguay per cercare di fargli cambiare idea personalmente. Una volta giunto ad Ochos Rìos, si renderà conto che anche la sua vita è mutata per sempre e dovrà fare i conti con il proprio destino. Due mondi si incontrano-scontrano, l’Europa ed il Sudamerica ma potrebbero tranquillamente esistere unicamente nell’animo dei protagonisti, visto che – praticamente – il celebre cineasta 82enne risolve tutto con una manciata di location. Ciò che egli desidera è riuscire a rappresentare - Gabriel Garcia Márquez insegna - lo stridere delle anime, costrette a muoversi dopo decenni di inattività, in un universo alla Fitzcarraldo in cui nulla più si dice perché tutto è stato già detto e “Di ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere”, come direbbe il saggio Wittgenstein. Gli sguardi, i movimenti delle labbra, mani appena sfiorate, Quella sera dorata è una delle pellicole più eleganti che siano apparse sugli schermi italiani da molti anni. Non stupisce, quindi, che abbia impiegato quasi un anno a giungere nelle sale. Ciò che colpisce, molto più della trama – fedelmente ricalcata sulle orme del romanzo originale – sono le singole prove d’attore che sono decisamente ai massimi livelli. Nessuno si stupisce della sommessa quanto potente interpretazione del grandissimo Anthony Hopkins, già avvezzo ai ritmi di Ivory (è stato, infatti, protagonista del suo Casa Howard nel 1992 e di Quel che resta del giorno – tratto dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro - l’anno successivo). Si è, invece, piacevolmente colpiti dalle figure femminili, le autentiche protagoniste di romanzo e film, portate sullo schermo da Laura Linney, nei panni dell’apparentemente gelida e repressa vedova dello scrittore suicida (evento da cui l’intera storia prende le fila) e da una radiosa Charlotte Gainsbourg, il cui fascino è, sempre, talmente immenso da sfatare il luogo comune secondo cui soltanto le belle donne possono sedurre. Difficile che questo film possa piacere allo spettatore medio italiano, troppo abituato a situazioni facili e predigerite. Soddisferà al contrario i cinefili e gli amanti di Ivory che ritroveranno le atmosfere di Camera con vista dopo l’immersione in un bagno d’acido che le rende, a tratti, simili a quelle di un Gosford Park al rallentatore. Che il regista californiano (che in molti credono britannico) si stia avviando, dopo la morte del suo sodale di una vita, Ismail Merchant, verso una cinematografia della maturità ancor più intimista e decisamente più cupa? Il pubblico ringrazia ed applaude.