Ci sono film generazionali. E poi c'è il film di culto. Animal House è ancor oggi venerato e osannato da generazioni, tale che il suo ridereccio morbo continua a diffondersi col trascorrere del tempo. Volenti o nolenti, ci troviamo dinanzi a un “colpevole”, che ha dato vita a centinaia di emuli tristemente ricordati più per la presenza di voyeristiche volgarità e dialoghi sboccati che per altri motivi. Ma è una colpa che ci sentiamo di assolvere da ogni accusa, viste le qualità che travalicano il semplice mood generazionale e lo hanno fatto assumere a icona e "vero" capostipite del genere. In un viaggio nel grottesco dei college americani, John Landis trova il modo di far divertire con risate godereccie ma non prive di una certa intelligenza cinefila e soprattutto sfondando lo schermo con un ariete del calibro del compianto John Belushi. Eric (Tim Matheson) e Kent (Stephen Furst) sono due studenti del college che vogliono iscriversi a una delle tante confraternite studentesche. Rifiutati dalla rigida Omega, piena di "figli di papà", entrano a far parte della sgangherata Delta, formata da ripetenti dalla condotta non certo encomiabile. Osteggiata fortemente dal preside della scuola, che cercherà in tutti i modi di farla chiudere, la Delta si avvale di bizzarri membri tra i quali spicca il "leader" Bluto (John Belushi) pronto a tutto pur di mantenerne la sopravvivenza e lottare contro le mire dei rivali. Spogliata dalla sua veste di commedia giovanile, Animal House mostra quegli istinti di ribellione alla società cosiddetta "perbene", e cerca di mostrarne, scarnificandole con battute al fulmicotone e gag paradossali, tutte le più profonde ipocrisie. Attraverso vagiti nostalgici, e personaggi ricchi di personalità, la varietà non viene mai a mancare, con il surplus che veste i panni di un Belushi strabordante, capace da solo di reggere la qualità attoriale complessiva sulle sue massicce spalle, pur accompagnato da nomi – più e meno famosi – in buona forma. Assunto a icona della cultura popolare, il film di Landis non risente assolutamente dei trent'anni sul groppone, risultando fresco e originale anche per un pubblico odierno, e mangiandosi in un sol boccone intere saghe giovanilistiche (da American Pie in poi). Merito della sceneggiatura scritta a sei mani di cui un paio appartenenti a quell'Harold Ramis che in futuro, oltre a divenire apprezzato regista, ci avrebbe anche regalato gli script delle avventure dei Ghostbusters (interpretandone anche il cerebrale Egon). Vivendo di alchimie pressoché perfette e offrendo tutte quelle situazioni non solo tanto care agli "sfigati" e ai nerd ma anche a chi con furbizia e genuina sfacciataggine si adopera a spezzare le barriera del sistema, osteggiando lo status quo del perbenismo con ogni forza. Ma oltre a tutto ciò, Animal House è folle ed esuberante divertimento, con situazioni irresistibili figlie di un cinema americano classico reinterpretato con malizia e ossequioso rispetto. Non mancano i rimandi nostalgici, in una rievocazione goliardica degli anni della giovinezza, con i suoi eccessi e le sue delusioni, ma sempre venata da una follia di sano ottimismo che ancor oggi conquista anche platee di chi, ai tempi, non era ancora nato.