Beneath Hill 60 racconta dell'episodio notorio che nel 1917 coinvolse, sullo sfondo della Grande Guerra, il Capitano Oliver Woodward (qui interpretato da Brendan Cowell) e il suo Genio Zappatori. Con il suo tutto sommato ridotto plotone di sottoposti, l'ufficiale australiano riuscì, attraverso una sequenza di cunicoli scavati ad impressionanti profondità , a giungere sotto alla trincea tedesca, per poi farla saltare in aria grazie ad una grossa quantità di esplosivi dall'enorme potenziale. La portata di un simile evento ci viene raccontata dalla Storia: la detonazione sequenziale delle varie miniere arrivò a produrre la più grande esplosione a memoria d'uomo (udibile fino a un migliaio di chilometri di distanza) e i tedeschi persero il controllo della Collina 60 e del crinale Messines (un anno dopo avrebbero perso anche la guerra). Oliver Woodward, invece, tornò in patria: lì ricevette le massime onorificenze militari e poté ritrovare la sua bella (qui, Isabella Heathcote), che di lì a poco sarebbe diventata la signora Woodward. Detto che ci si trova di fronte ad una (relativamente) piccola produzione australiana che parla di un eroe nazionale, pare inevitabile che il peso della Storia gravi in modo importante sulla sceneggiatura. Beneath Hill 60, in effetti, si interessa soprattutto al racconto del fatto in sé, perdendo gli altri aspetti per la strada: non solo l'attenzione nei confronti dei personaggi (che, fatta eccezione per il protagonista, qui paiono assolvere sbrigativamente a mere esigenze narrative) e al loro inserimento nell'ambiente, ma anche (soprattutto) la "gestione" dell'ambiente stesso. Film come Buried - Sepolto e Lebanon (per non menzionare il colossale Lettere da Iwo Jima) riuscivano - ognuno chiaramente a modo suo - a sublimare il contesto particolare che circondava i suoi protagonisti, a trasformare un'isolazione claustrofobica estremamente "fisica" nella lucida (o appassionata, a seconda dei casi) osservazione di un malessere delicatamente umano. Tutto ciò non avviene in Beneath Hill 60. Lontano dallo stile degli autori sopracitati (ma anche dalla sensibilità del Peter Weir de Gli anni spezzati), Jeffrey Sims si dimostra buon artigiano ligio alle esigenze della produzione. Il suo film, in realtà , non arrischia affatto d'esser sgradevole; ma certo, svicolato dal suo contesto nazionale, finisce per arrivarci attraverso sentieri più e più volte percorsi, finendo per smarrirsi nell'anonimato dei film di mestiere.