Con questo terzo capitolo, Paul W.S. Anderson conclude la (prima) trilogia che ha riproposto sul grande schermo il brand di una delle saghe videoludiche survival horror più acclamate della storia, sebbene anche questa volta affidi formalmente la regia all’“ultimo immortale” Russel Mulchay, come avvenuto per il secondo episodio (Apocalypse) con Alexander Witt. Se i due precedenti prodotti avevano già ampiamente fatto intendere che non si può certo parlare di trasposizione pura, bensì di un ben più lampante “molto liberamente ispirato a”, la terza pellicola conferma in modo piuttosto deciso questa regola, calamitando ancora maggiormente tutte le attenzioni attorno alla figura della protagonista Alice (Milla Jovovich), figura assente nel videogioco. Trattandosi di trilogia nei fatti - con un atteso ordine strutturale nell’evolversi delle vicende - a mancare (o quantomeno stentare) sembrerebbero anche alcuni riallacci con i capitoli precedenti.
Le danze si aprono con uno scenario piuttosto desolante e post-catastrofico, facendo intendere che la diffusione del letale virus-T creato dall’Umbrella Corporation abbia fatto piazza pulita anche oltre i confini di Raccoon City, tramutando in zombie o distruggendo il resto della popolazione. Alice vaga raminga alla ricerca di sopravvissuti e preziose informazioni sulle sorti dell’Umbrella, che la aiutino a comprenderne i reali scopi e gli effetti degli esperimenti promossi precedentemente su di lei. Dall’altra parte troviamo un gruppo di persone scampate agli effetti del virus e capitanate da Carlos (Oded Fehr), già salvatore di Alice; mentre ciò che rimane della misteriosa società farmaceutica sembra essere un nucleo di scienziati e una manciata di soldati asserragliati all’interno di un enorme rifugio sotterraneo, a prova di zombie. Le risorse alimentari ed energetiche scarseggiano, ma il Dr. Isaacs (Iain Glen) insiste affinché la priorità venga assegnata al “Programma Alice”.
Dal claustrofobico Alveare, passando per l’algida e piovosa Raccoon City, il viaggio di Alice termina (si fa per dire) negli sconfinati e polverosi orizzonti del Nevada. Cambiano le atmosfere, i ritmi e naturalmente anche le esigenze di un mercato sempre più desideroso di azione e CGI allo stato puro, denotando una lenta contaminazione coevolutiva che ha mutato drasticamente l’interattività del giocatore/spettatore a livello videoludico, estendendosi parallelamente alla pseudo trasposizione cinematografica e soffocando notevolmente il succo narrativo delle vicende. Così come RE4 ha rappresentato una netta metamorfosi generazionale per i videogiocatori, segnando la morte degli scabrosi primi piani su fatiscenti porte cigolanti e della suspense a rallentatore vecchio stile, allo stesso modo i ritmi frenetici e verticalmente spettacolarizzati di RE: Extinction spengono in definitiva le speranze di chi in RE: Apocalypse aveva intravisto illusoriamente un parziale rispetto di quei (pochi) canoni e stilemi intoccabili per i fan di vecchia data, come la morbosa lettura di documenti top secret e i dettagli rivelatori di un intreccio degno dei più coinvolgenti romanzi thriller di fantascienza. E allora, che adattamento cinematografico sia, in tutto e per tutto, nonostante questo significhi prendere a prestito da un marchio leggendario nomi, fatti e riferimenti buttati in un plot senza spina dorsale e a tratti incoerente nella trilogia stessa. Ad ogni modo, dettagli irrilevanti e difficili da tenere a mente per la maggioranza dei paganti, persino per quei sedicenti fan eccitati e appagati dalla visione di un qualsiasi non-morto in movimento o estasiati dal semplice ricordo di vocaboli e personaggi vagamente familiari, come un’irriconoscibile Claire Redfield (Ali Larter). Pesante l’assenza di Sienna Guillory nel ruolo di Jill Valentine, il cui celebre top azzurrino e la personalità aggressiva avevano notevolmente offuscato la seducente mascolinità prorompente della Jovovich in Resident Evil: Apocalypse.