Primo film in 3D per il filone thriller-horror giapponese: se ne occupa Takashi Shimizu, regista del successo intercontinentale Ju-on (The Grudge) e il risultato, a dirla tutta, non è dei migliori, a partire da una trama che richiama decisamente troppo It di Stephen King. Il film ruota intorno al personaggio di Yuki, una ragazza che a dieci anni dalla sua scomparsa riappare inspiegabilmente davanti ai suoi amici d’infanzia Rin (una ragazza non vedente), Motoki e Ken. Dopo aver condotto Yuki dalla sorella minore Miyu, la amica rediviva cade dalle scale e sono costretti a portarla in un ospedale che si rivelerà essere un posto con un ruolo centrale della loro infanzia e della loro vita: un’enorme casa dell’orrore in cui Yuki era scomparsa dieci anni prima. Apprezzabile la scelta di Shimizu di limitare gli artifici classici del genere e di puntare tutto sull’atmosfera e sull’ambientazione: il quintetto infatti si muove all’interno della Cho Senritsu Meikyu, conosciuta come la casa dell’orrore più grande al mondo; situata ai piedi del Monte Fuji necessita di quasi un’ora per essere visitata tutta. Shimizu la sfrutta in lungo e in largo, usando il 3D per allungare gli spazi, rendere infiniti i corridoi e soffocanti le stanze. Il problema è che il film alla lunga stanca e non stimola nessuna scarica di adrenalina. Di “shock”, insomma, non c’è proprio traccia. Ad appesantire il tutto, una storia con tanti, troppi rimandi a It di Stephen King, l’ennesimo fantasma orientale che torna per vendicarsi e degli attori decisamente troppo anonimi. L’attenzione di Shimizu inoltre si focalizza su determinati oggetti e situazioni cardine che tendono a diventare stucchevoli (la camminata sulla scala a chiocciola, evocativa ma esasperante) e a volte ridicole (il coniglietto meccanico veicolo dell’anima di Yuki). Sicuramente non è tutto da scartare ma a Shimizu si poteva sicuramente chiedere molto di più.