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Rango

24/02/2011 12:00

Marco Papaleo

Recensione Film,

Rango

Che sia arrivata finalmente l'ora di riscoprire il western? Dopo le sortite spielberghiane di vent'anni fa, volte a omaggiare il genere in maniera poco ortodoss

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Che sia arrivata finalmente l'ora di riscoprire il western? Dopo le sortite spielberghiane di vent'anni fa, volte a omaggiare il genere in maniera poco ortodossa, sono arrivate le citazioni in tanti cult movie e alcuni titoli interessanti nel corso degli ultimi anni. Ma si è trattato, in fin dei conti, di episodi sporadici, non di un vero e proprio ritorno in auge di uno dei generi storicamente più amati dal pubblico. Quello di oggi, invece, sembra poco propenso a pellicole dal retrogusto malinconico, fatte di duelli al fulmicotone preannunciati da lunghi e penetranti sguardi preparatori. Eppure, l'uscita ravvicinata di due film come Il Grinta dei Coen e Rango di Gore Verbinski potrebbero segnare un'inversione di tendenza, dimostrando che il genere ha ancora parecchio da dire.


Essere camaleontici vuol dire adattarsi alle situazioni, anche avverse, per portarle a proprio vantaggio. Proprio quello che fa Rango, un camaleonte domestico imbranato e sognatore, improvvisamente catapultato in un'avventura western durante un trasloco dei suoi padroni umani. Abituato al suo rettilario e ai suoi amici immaginari, le prospettive per lui cambiano radicalmente quando, con la speranza di diventare un vero eroe, il simpatico e complessato rettile si ritrova ad affrontare una realtà più grande delle sue possibilità. Quasi per caso viene, difatti, investito della carica di sceriffo di una cittadina di frontiera, col compito di risolvere il mistero della scomparsa delle risorse idriche della comunità. Una missione sempre più pericolosa ogni minuto che passa...


Gore Verbinski, noto ai più per aver inaugurato la “moda” dei remake dei film del terrore orientali col suo The Ring nel 2002 ed per aver contribuito grandemente al successo dei live action Disney/Bruckheimer dirigendo i primi tre episodi de Pirati dei Caraibi, ha decisamente mostrato sangue freddo, proprio come un rettile, accettando questa nuova sfida. Che sia, anche in questo caso, un nuovo apripista per una particolare tendenza cinematografica? Dal risultato finale di Rango potremmo decisamente auspicarlo. Nonostante i grandi nomi coinvolti nel progetto, il film non era certo tra i più attesi della stagione, eppure è l'ennesima dimostrazione che si può fare qualcosa di buono anche al di fuori del dittico Pixar/Dreamworks, quando si parla di lungometraggi in animazione computerizzata. La pellicola, prodotta da Nickelodeon, GK Films e Blind Wink - società fondata dallo stesso Verbinski - è stata realizzata negli studi della blasonata Industrial Light & Magic, alla sua prima prova di animazione tout-court e non di “semplice” curatrice degli effetti speciali e grafici. Ne è venuto fuori un film tecnicamente validissimo, con una fotografia e un character design decisamente spettacolari, ancorato alla tradizione del cartoon statunitense ma al contempo fresco e ricco di idee caratterizzanti.


La direzione di Verbinski si nota, e la sua idea di far doppiare il film agli attori non in sessioni separate, come spesso accade, ma contemporaneamente, ha portato al metodo che lui definisce Emotion Capture (in contrapposizione all'ormai classico Motion Capture). Gli attori infatti non sono stati digitalizzati nei movimenti tramite sensori posti su tute, ma ripresi nell'atto di recitare insieme agli altri per fornire materiale diretto su cui gli artisti della ILM hanno potuto modellare le proprie creazioni. Creazioni già ampiamente visualizzate nelle sessioni di doppiaggio, in cui gli attori recitavano effettivamente su un palcoscenico, con tanto di vestiti di scena. Il film colpisce poi nel risultare divertente e colto in tutte le sue citazioni dell'epopea western - e non solo! - non scimmiottando nulla ma semplicemente rielaborando i dettagli cardine di un tale immaginario, al servizio di una storia che piacerà senza dubbio anche agli adulti per via di un'ironia dal taglio piuttosto crudo. Certo, ci sono un paio di momenti di stanca qua e là, ma alcune intuizioni (soprattutto nelle parti iniziali e finali) sono assolutamente rimarchevoli. Che gringo il nostro Gore!


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