Il 24 febbraio, presso il Centro San Luigi dei francesi di Roma, si è svolto il convegno Simone Weil e Gustave Thibon: un’amicizia intellettuale in occasione dell’anteprima di Le stelle inquiete, il nuovo film di Emanuela Piovano ispirato proprio dalla filosofa francese. La regista torinese distintasi negli anni, insieme a Francesca e Cristina Comencini, Donatella Maiorca, Antonietta De Lillo, Simona Izzo, Anna Negri ed altre ancora, per essere una delle autrici "dalla parte delle donne" e per aver contribuito alla diffusione di molte opere indipendenti grazie alla sua casa di produzione, la Kitchen Film, sceglie per il suo quinto lungometraggio un personaggio di non facile trattazione. Definire la figura di Simone Weil, che per sua natura sfuggirebbe a qualsiasi tipologia di definizione, è alquanto ostico. Di lei si potrebbe dire che era una donna che elaborava il suo pensiero mettendosi dalla parte degli oppressi, non solo comprendendone le condizioni ma vivendole e sperimentandole come scelta di vita. Oltre alle sue posizioni politiche e ideologiche, fra cui l’aspra critica al materialismo marxista, uno degli aspetti più interessanti della Weil erano le sue concezioni religiose, quel volersi definire cristiana fuori dalla Chiesa, che attaccava da molti punti di vista, e porsi continuamente il dilemma dell’insolubilità del problema di Dio con frequenti crisi mistiche ed esistenziali. Le stelle inquiete non è un film totalmente biografico quanto piuttosto, per utilizzare una definizione della stessa Piovano, un interludio, un episodio poco conosciuto della vita della Weil che rappresenta uno dei momenti più spensierati e allo stesso tempo profondi della sua triste e breve esistenza. Nel 1941 a causa dell’invasione tedesca e delle persecuzioni razziali Simone Weil (Lara Guirao) fu cacciata dall’università in quanto ebrea e costretta a fuggire nel sud della Francia. Fu accolta a Marsiglia nella fattoria di Gustave Thibon (Fabrizio Rizzolo) e di sua moglie Yvette (Isabella Tabarini) nella quale passò l’estate lavorando come contadina. Il tempo trascorso completamente immersa nella natura della masseria, in quella terra che lei definiva “delle fate”, e l’amicizia/amore platonico che instaurò con il contadino filosofo Thibon, la segneranno per sempre. Tante buone premesse, tante buone intenzioni, ma un risultato assolutamente mediocre. Quello che più infastidisce di Le stelle inquiete è l’estremo didascalismo, tale da renderne tediosa la visione e in alcuni casi perfino priva di significato. La Piovani sceglie di parlare innanzitutto della Simone donna, essere umano che, a stretto contatto con la natura, si abbandona al sentire e al contempo contiene le pulsioni; la regista finisce però per redigere uno scarno elenco di eventi. Non c’è trasporto né passione nella masseria di Thibon, non c’è tensione fra lui e Simon, non c’è gelosia fra lei e la moglie, non c’è sensibilità e crisi esistenziale in Simone Weil. O meglio, tutti questi elementi, sebbene presenti, sono solamente descritti ma non arrivano mai a toccare le corde profonde dell’animo, laddove invece dovrebbero giungere quando si parla di personalità del genere. Lo stesso vale per la sceneggiatura che, eccetto qualche momento felice puramente citazionistico, rimane per lo più asettica come anche l’interpretazione generale che lascia abbastanza a desiderare. La macchina da presa si muove appena, le inquadrature variano poco limitandosi per lo più a campi medi e primi piani, nonostante ciò quasi se ne avverte la presenza, una presenza fastidiosa che arriva perfino, nelle sequenze in cui Thibon è sul terrazzino a discutere con gli amici, a dare più l’impressione di trovarsi davanti ad uno spettacolo teatrale e che quello sia un palcoscenico. Quello che manca fondamentalmente è la magia del cinema.