
Con Shelter - Identità paranormali Måns Mårlind e Björn Stein segnano il loro debutto al timone di un progetto americano. Dai primi anni della loro carriera, hanno entrambi lavorato in serie televisive - si ricorda Crimewave - mentre la prima esperienza cinematografica arriva con Storm, vincitore dello Stockholm film festival. Spalleggiati da un buon cast, Mårlind e Stein hanno reso Shelter una pellicola commercialmente interessante, distribuita in Italia da Moviemax. L'attrice scelta per il ruolo della psichiatra è Julianne Moore: nonostante non sia una delle sue più brillanti interpretazioni, è comunque riuscita a dare alla pellicola un'anima attraente, aiutata nell'impresa da Jonathan Rhys-Meyers (visto in From Paris with love, I Tudors e nel capolavoro di Woody Allen Match Point). Cara Jessup (Julianne Moore) è una psichiatra forense convinta che le personalità multiple non esistano ma che siano solo delle suggestioni, almeno fino al giorno in cui il Dottor Harding, suo padre, le presenta il caso di David (Jonathan Rhys-Meyers). All'apparenza un ragazzo normale, sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, nasconde dentro di sé Adam Seber, una persona in ottima forma fisica, in grado di alzarsi e camminare con le proprie gambe. Affiorano le prime perplessità e i primi enigmi quando Cara scopre che David è il nome di un ragazzo morto anni prima. La psichiatra dovrà quindi mettere in dubbio se stessa e le proprie convinzioni: un mondo oscuro e ambiguo comincerà a diradarsi attorno a lei, alimentando le domande e riducendo le risposte. La strada che conduce alla verità porta alla consapevolezza che uscirne indenni resta una remota e disperata possibilità . Shelter è un film che si presenta accattivante, uno psyco-thriller coinvolgente ed entusiasmante per gli amanti del genere, ma che minuto dopo minuto, si risolve in un horror banale e scontato, privo di stimoli interessanti. Non lascia allo spettatore il beneficio del dubbio incespicando in una trama trita e ritrita. L'idea di mescolare scienza e misticismo lasciando in superficie il dogma religioso, secondo il quale se non si è credenti non vi è possibilità di salvarsi dal male, necessitava di uno sviluppo più originale e personale. Tra sequenze forti ma già viste (in The exorcism of Emily Rose) e sospettose atmosfere alla Paranormal Activity, al film non è possibile attribuire una consistenza e una struttura propria. L'unico aspetto che redime in parte la pellicola è la scena finale, che tende a spiazzare lo spettatore riscattando in extremis il contributo registico. Ora si attende la prossima avventura cinematografica dei due registi danesi: Underword 4: New dawn, ennesimo sequel dalla tematica riciclata. Il tempismo non si può certo dire essere una loro caratteristica.