È giunta l’ora di rispolverare il kit anti demone. Prendete crocifisso, acqua benedetta, magari munitevi anche di una collana d’aglio, ripassate gli scongiuri e preparatevi ad entrare in sala, lì il male vi attende! Satana, è di nuovo lui. Sembra che le major hollywoodiane proprio non resistano a stargli lontano, non sarà che ad essere possedute siano proprio loro? Ogni volta che al cinema viene nominato il signore delle tenebre il riferimento a L’esorcista, il capolavoro di William Friedkin del 1973, è inevitabile in quanto cult di quello che si potrebbe definire una sotto-categoria del thriller horror. Da allora innumerevoli pellicole hanno invaso gli schermi a scadenze quasi fisse, con un particolare incremento che interessa gli ultimi vent’anni in cui sono state passate al vaglio tutte le possibili varianti della possessione e dell’esorcismo, quest’argomento/strumento così tabù le cui pratiche sono tenute sotto chiave dalla chiesa data la loro pericolosità , almeno così dicono. Il demonio è dunque tornato, ad invocarlo stavolta è stato Mikael Håfström che dirige Anthony Hopkins, Rutger Hauer e l’esordiente Colin O'Donoghue in Il rito, storia ispirata al libro inchiesta di Matt Baglio dal titolo Rito. Storia vera di un esorcista di oggi a cui i produttori del film si sono interessati quando era ancora in fase di stesura. La trama ruota tutta intorno a Michael Kovak (Colin O'Donoghue), seminarista scettico e poco convinto della sua effettiva vocazione ma dotato di grande forza spirituale e inviato a Roma per imparare il rito dell’esorcismo. Giunto in Vaticano Michael non perde mai occasione per sfidare i suoi superiori essendo convinto che la maggior parte delle persone che si dicono possedute siano in verità affette da disturbi psichici. Per questi motivi viene mandato dall’esperto e poco ortodosso esorcista Padre Lucas (Anthony Hopkins) al quale dovrà fare da assistente. Nulla di nuovo dunque sul fronte satanico. Il rito non è altro che l’ennesima pellicola super pubblicizzata con frasi apocalittiche ad effetto e trailer accattivanti che mirano ad impressionare lo spettatore. A nulla servono la bella regia di Håfström e la fotografia di Ben Davis se non a creare immagini esteticamente interessanti; perché tranne qualche balzo sulla poltrona, Il rito non è nemmeno lontanamente in grado di incutere quel senso di terrore e di angoscia interiore de L’esorcista. Anche non volendo osare termini di paragone così elevati basti pensare che il voler troppo sottolineare a parole la grandezza del male finisce per ridicolizzarlo o ridurlo a una sorta di superstizione. Cavalli dagli occhi rossi, grandi quantità di rettili che invadono case e a cui piace nascondersi nelle federe dei cuscini o nelle valigette, gente che vomita chiodi, felini inquietanti non aiutano a rendere la pellicola credibile, visto che si dice che la vicenda prenda spunto da fatti reali. Se va meglio per quanto riguarda la trattazione del complicato rapporto fra Michael e suo padre, appena abbozzata è la presenza della possibile partner Angeline (Alice Braga), giornalista alla ricerca della fantomatica verità , per non parlare delle comparsate nostrane e della rappresentazione tardo stereotipata di Roma e dei romani. Mentre Hopkins biascica l’italiano una muta Maria Grazia Cucinotta accompagna la nipote posseduta Rosaria (Marta Gastini), ragazzina incinta dal look incredibilmente povero/retrò e protagonista di qualche scena degna di nota ma recitativamente ancora acerba, mentre la catapecchia nella quale vive l’esorcista non è precisamente databile e Michael per chiamare il padre deve ricorrere ad una cabina telefonica. A parte ciò Il rito, confezionato secondo tutte le logiche commerciali, rimane dunque un film inconcludente, senza capo ne coda, un prodotto per nulla degno dell’incarnazione del male.