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Sorelle Mai

15/03/2011 11:00

Cristiano Caliciotti

Recensione Film,

Sorelle Mai

Sorelle Mai nasce dall'esperienza di Marco Bellocchio al Laboratorio Fare Cinema di Bobbio, un progetto di formazione cinematografica che si tiene ogni anno nel

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Sorelle Mai nasce dall'esperienza di Marco Bellocchio al Laboratorio Fare Cinema di Bobbio, un progetto di formazione cinematografica che si tiene ogni anno nella cittadina emiliana fin dal 1997. Nelle edizioni dal 1999 al 2008, saltando a piè pari gli anni dal 2000 al 2003, Bellocchio diresse sei cortometraggi sulla vita della famiglia Mai. Protagonisti sono le sorelle Mai, che ispirano il titolo, i loro due nipoti, Giorgio e Sara e la figlia di questa, la cui infanzia è interamente percorsa dalle vicende della saga. Nell'ultimo vediamo anche la talentuosa Alba Rohrwacher nei panni di una angosciata professoressa che vive in affitto in una delle camere della grande casa di famiglia. Oltre a questi la fa da padrone lo scorrere del tempo, che grazie anche alla particolare genesi del film risalta ancora più chiaro ed intenso agli occhi dello spettatore. La famiglia Mai di oggi è più pacifica e conciliante di quella che vedemmo quarant'anni fa nel folgorante I Pugni In Tasca, esordio cinematografico di Bellocchio di cui, non a caso, vengono evocativamente inseriti alcuni spezzoni nel film.


Il suo centro, obsoleto e morituro, sono le due vecchie zie, che, con molta sensibilità, il regista ha dipinto pensando a “quelle signorine ottocentesce recluse sempre nella vita di famiglia, essendo scoraggiate a formarsene una propria”. Intorno a loro gravitano i due nipoti, per interesse di comodo ma anche per l'affetto che li lega ai luoghi della loro infanzia. Giorgio si fa vivo una volta ogni tanto, per saluti di cortesia e respirare l'aria dell'infanzia, similmente Sara, che però ha lasciato dalle zie la sua bambina, l'ultima della famiglia a poter crescere nella bucolica e dolce atmosfera di Bobbio. I sentimenti dei due ricordano da lontano quelli dei fratelli de I Pugni In Tasca, entrambi hanno paura di marcire a Bobbio, 'a fare l'uno l'albergatore, l'altro l'animatrice, e talvolta nelle biliose parole di Giorgio si anima il fantasma di Lou Castel, che a denti serrati rimembrava le rime di Leopardi (“che l'età verde sarei dannato a consumare in questo natio borgo selvaggio”).


Tuttavia è qui la grande differenza tra le due opere, il nero scintillio della prima e la soave bellezza della seconda. Mentre nel primo film, l'odio per il castrante paese natio permeava ogni attimo e uccideva ogni tipo di amore familiare, fino a sfociare nell'omicidio familiare vero e proprio e molteplice; in Sorelle Mai l'aria di Bobbio porta con se molta dolcezza. E più che la paura di marcire nel borgo, c'è la sensazione di poter qui ritrovare i vecchi calori dell'infanzia. La crescita infatti non passa e finisce nei bollori e nel sangue della ribellione, ma si conclude nella rappacificazione fraterna e l'unico dramma della pellicola, simboleggiato dalla beffarda morte dell'amico di famiglia Gianni, è quello della fine del tempo che fu, di tutto un mondo ancora ottocentesco di cui fin dagli anni '60 il cinema italiano fa i canti funebri (cfr. ad esempio anche Vaghe stelle dell'Orsa di Luchino Visconti) e che forse, ad oggi, a.d. 2011, sta davvero esalando i suoi ultimi respiri.


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