Odiato da uno stuolo di irrefrenabili detrattori, adorato da un esercito di incondizionati ammiratori (che, a quanto pare, è discretamente più numeroso dello stuolo, elezioni alla mano), non si può negare che la Politica italiana dell'ultimo ventennio e, più in generale, l'Industria, l'Economia, l'Informazione e il Costume del Bel Paese dell'ultimo trentennio siano stati un palcoscenico calpestato spesso e volentieri da un solo attore: Silvio Berlusconi. E allora Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (inviati ed editorialisti del Corriere della Sera), noti al grande pubblico per il libro-inchiesta best seller del 2007, La Casta, scrivono a quattro mani il soggetto e la sceneggiatura di questo Silvio Forever, diretto dai registi Roberto Faenza e Filippo Macelloni. Il film è un documentario costruito come una sorta di collage che ripercorre la vita del Presidente del Consiglio dalla culla al Bunga Bunga: per comporre il mosaico Rizzo e Stella si sono affidati solo ed esclusivamente alle parole dello stesso Berlusconi, utilizzando interviste, discorsi, ospitate televisive e passi della sua autobiografia, letti da Neri Marcorè. L'obiettivo non è politico (ma è poi davvero possibile fare un film “non politico” su Berlusconi?) ma è quello di ricostruire la storia dell'uomo che, volente o nolente, maggiormente rappresenta l'Italia e gli italiani in questo momento storico. Il problema è che se si toglie di mezzo il Berlusconi politico non rimane che un un rutilante susseguirsi di smargiassate varie (soprattutto in campo sentimentale), barzellette, corna, audaci freddure sugli omosessuali, aneddotti salaci, situazioni imbarazzanti e piccole chicche (queste invero piuttosto interessanti) sui suoi primi passi imprenditoriali. Dalla nascita di Milano due a quella dei canali Mediaset, dai trionfi del suo Milan alla partenza della sua avventura politica, pubblicizzata persino da Ambra Angiolini, Mike Bongiorno e Raimondo Vianello, dalla miriade di processi allo scandalo escort, gli ottanta minuti del film toccano tutti gli eventi salienti della berlusconeide. Il prodotto finale non è certo super partes (ma è poi davvero possibile fare un documentario imparziale?) e non c'è molto che non sia ormai di pubblico dominio eppure non si può rimanere indifferenti, nel bene e nel male, di fronte a questo one man show in grado di “creare spettacolo” in qualsiasi momento, dovunque, su qualsivoglia argomento. Non è un caso che il contraltare di Silvio sullo schermo non sia quasi mai impersonato dai suoi numerosi avversari politici, ma da comici come Benigni, Fo e Cornacchione: a un uomo di spettacolo si può rispondere solo con un altro uomo di spettacolo. Tre sono le scene destinate a diventare un must: la prima, assolutamente geniale nella sua genuinità, vede protagonista mamma Rosa Berlusconi che tesse le lodi del figlio, insistendo con particolare pervicacia sulla sua cristallina moralità (è la scena incriminata dalla RAI che per questo motivo ha censurato gli spot del film sulle sue reti); nella seconda il famigerato don Verzé sciorina con amabile faccia di tolla un elogio di Silvio paragonandone le vicende personali a quelle di Gesù Cristo; nella terza l'indimenticato Indro Montanelli liquida con una battuta, come solo i grandi sanno fare, l'enorme mausoleo funerario fatto costruire da Berlusconi nel giardino della casa di Arcore. Un documento sicuramente da vedere su un personaggio che ha fatto e sta facendo la storia del nostro paese, ma un film, come dicono anche gli autori, che potrebbe deludere gli anti berlusconiani, in quanto non è un attacco frontale al premier, e che per principio non sarà visto dai berlusconiani, allontanati dalla fama “sinistra” di Rizzo e Stella.