Prendete cinque donne non più giovanissime con una storia difficile alle spalle, lasciatele libere di parlare della propria vita attraverso i movimenti del corpo, fatele salire su un palco e ammiratele. Questa è la premessa necessaria per guardare un film “difficile” come Tournèe del noto attore e regista francese Mathieu Amalrich. La pellicola racconta la vera storia del Burlesque cercando di rivelarne l’essenza. Per questo motivo, prende le distanze dal precedente film di Steven Antin (Burlesque) rivolto principalmente a un pubblico di massa, e mostra cinque difficili storie di vita unite da un destino comune. In scena non ci sono attrici giovani e di successo (come Christina Aguilera o Julianne Hough), ma delle performer vere, reali, che nonostante l’età e i chili di troppo, amano allietare il pubblico internazionale con performance colorate, movimentate e divertenti. Ognuna di loro indossa una maschera e sceglie un soprannome con cui essere riconosciuta: quando salgono sul palcoscenico, le donne dimenticano chi sono (e, soprattutto, chi sono state) e interpretano il personaggio che hanno scelto di essere. Sempre in viaggio verso mete sconosciute, le protagoniste vivono on the road, forti soltanto della stima che hanno l’una per l’altra. Le tappe dei loro spettacoli sono decise da Joaquim, un imprenditore egoista ed egocentrico (interpretato dallo stesso Amalrich) che non riesce ad amare nessuno perché, prima di tutto, non ama se stesso. Con una moglie abbandonata, due figli trascurati che non conosce, e un passato non troppo limpido, l’uomo cerca di arricchirsi organizzando gli show delle ballerine ma lasciandole libere di ballare (quasi sempre) come vogliono. D’altronde cos’è il Burlesque? È un ballo di una donna (indipendente dal controllo maschile), che si esibisce per le altre donne. Diventa, dunque, una danza rituale e liberatoria con cui la donna ammette di amare il proprio corpo e di saperne gestire la carica sessuale. Il ritmo della pellicola è piuttosto lento, le inquadrature lunghe. La musica accompagna i cambi di scena, i vestiti colorati delle ballerine portano un po’ di luce nelle loro vite stanche e monotone, i trucchi marcati ed esasperati disegnano sorrisi (finti) sui loro volti. Eppure Amalrich ha un grande merito: quello di aver dato tempo e modo allo spettatore di entrare nel mondo delle protagoniste e di averne condiviso gioie e dolori. Troppo vecchie per essere rivali, le donne diventano amiche, si proteggono l’un l’altra e formano una sorta di famiglia in cui c’è posto anche per il produttore e, forse, per tutti quelli che fanno della propria diversità, il punto di forza.