Una pellicola storica che invece di concentrarsi sulla spettacolarità delle battaglie gioca tutto, o quasi, sul rapporto tra i protagonisti. Nel 1964 Peter Glenville dirige Becket e il suo re, elegantissimo dramma in costume incentrato su due figure storiche realmente esistite, interpretate da due pezzi da novanta dell'età dorata di Hollywood: Richard Burton e Peter O'Toole. Il Re Enrico II (Peter O'Toole) è sul trono di un'Inghilterra ancora divisa dai conflitti tra Sassoni e Normanni, e in cui forti problemi economici destabilizzano le finanze del regno. L'unico, vero amico del Re, è Tommaso Becket (Richard Burton), compagno di avventure che ben poco si appresterebbero ad un sovrano. Quando Enrico II pretende dalla Chiesa un cospicuo numero di uomini da inviare come soldati per l'imminente guerra contro la Francia, si attira le antipatie dei vescovi. La morte improvvisa dell'arcivescovo permette al re di mettere al suo posto proprio Tommaso, con la speranza che questi possa così controllare i poteri ecclesiastici. Ma quando un nobile, amico di Enrico, uccide un prete accusato ingiustamente e senza neanche lo straccio di un processo, l'onore di Tommaso farà si che chieda giustizia, mettendosi in aspro conflitto col vecchio amico. Illuminato da una splendida fotografia (da antologia la burrascosa discussione dei due amici/antagonisti su una spiaggia dove le onde sbattono impetuose), Becket e il suo re è un film di gran classe, in cui ogni tassello sembra perfettamente al proprio posto. La caratterizzazione dei protagonisti è da incorniciare, e se Burton, diviso tra l'onore e l'amicizia, è bravo in questo ruolo dalla doppia personalità , è da applausi a scena aperta la performance di un straordinario O'Toole, il cui capriccioso re, egoista e a tratti crudele, diventa come un bambino quando si trova ad opporsi al vecchio amico. È un amore morboso, una neanche troppo celata omosessualità che pervade il suo personaggio ad emergere lentamente ma inesorabilmente durante la visione. Ambientato in un'Inghilterra divisa, dove i nobili sono liberi di agire come vogliono, mentre i poveri diventano sempre più poveri, in cui la stessa Chiesa non è rappresentata in maniera positiva, anch'essa scombussolata da dissidi interni e vipere pronte a mordere alle spalle. Impeccabili i costumi e le scenografie, in un racconto dove l'azione è limitata a brevissime scene, e in cui è totalmente assente qualsiasi scontro di massa, nonostante non manchino sequenze visivamente imponenti per numero di comparse. L'epica così diffusa nelle opere similari di quel periodo è sì presente, ma in maniera assai diversa: è più il viaggio interiore di due uomini, uniti e separati dal destino, che la lotta di un popolo o l'espressione retorica degli ideali.