Louis Nero, regista torinese al suo quinto lungometraggio, torna dietro la macchina da presa per portare sul grande schermo la figura misteriosa e ipnotica di Grigorij Efimovic Rasputin, restituendo al grande pubblico l’immagine di un uomo troppo a lungo condannato dai pregiudizi della Storia. A condurre per mano lo spettatore, lungo l’intricato e labirintico universo creato dal giovane regista, la voce di Franco Nero, coproduttore della pellicola. Nella gelida Russia del 1916, un gruppo di influenti personaggi della corte dei Romanov organizza un complotto contro Rasputin, uno dei più fidati consiglieri dello Zar. Taumaturgo, stregone e politico, Rasputin rappresenta un ostacolo non solo per la nobiltà , ma anche per la nuova Russia, quella positivista e scientifica che, di lì a poco, porterà all’estinzione dei Romanov. Partendo dal 16 Dicembre del 1916, giorno della morte di Rasputin, il film segue il percorso di formazione di questo incredibile personaggio storico, tratteggiando la sua psicologia e la continua lotta contro la sua stessa natura. Rasputin – La verità supera la leggenda ha l’intento di esorcizzare i pregiudizi che, nel corso degli anni, si sono accumulati sull’uomo che, da solo, è riuscito a cambiare il volto della Russia. Quello che Louis Nero porta sul grande schermo non è l’uomo demoniaco presentato in altri film – come Anastasia o lo splendido Hellboy - ma un uomo che ha passato gran parte della sua esistenza combattendo contro i demoni della propria individualità . Lo stesso regista, durante la conferenza stampa, ha asserito che: «Il vero nemico di Rasputin è lui stesso». Sebbene lo spunto iniziale sia affascinante, permangono dei dubbi. Presi uno ad uno, gli elementi che compongono Rasputin sono estremamente interessanti, a partire da una certa tendenza pittorica vicina a Rembrandt Harmenszoon van Rijn che rende plastici i vari personaggi messi in scena, in una sorta di continuo tableau vivant. Eppure l’insieme appare illogico e disordinato. Su tutti la tecnica window – ossia quella che consente di dividere lo schermo in una o più finestre -, tipica della videoarte, nel film di Louis Nero risulta ridondante, puro esercizio di stile. Stesso discorso vale per la messa in scena: con la scelta di inchiodare la macchina da presa al suo posto, in una regia statica e frontale, spesso si ottiene un risultato troppo vicino al teatro sperimentale, che stona con quanto già visto. Altro punto debole è – duole dirlo – la voice over di Franco Nero: la splendida voce dell’attore – con il compito di spiegare e condurre lo spettatore all’interno della diegesi - alla lunga stanca. Louis Nero ha definito il suo film come: «ponte tra il cinema tradizionale di narrazione, il docu-dramma e l’arte visiva». Tuttavia questo ponte non si è dimostrato abbastanza resistente da sorreggere un tale peso narrativo e visivo. Non mancano, ciononostante, elementi positivi: la splendida fotografia (curata dal regista), con una predominanza dei colori rossi, tipici della pittura fiamminga. L’universo creato dal Louis Nero è un boudoir ipnotico, che impedisce allo spettatore di distogliere lo sguardo, e su questa fotografia si muovono dei buoni interpreti. Un accenno va fatto a Francesco Cabras, già visto in La Passione di Mel Gibson e in Il mandolino del capitano Corelli di John Madden: la sua recitazione sostenuta, quasi glaciale, rende il personaggio di Rasputin luciferino e patetico in egual misura, tanto che sulle sue sorti lo spettatore si domanderà quante giuste o ingiuste esse siano. Certo è che la scena finale – brutale, poetica e distensiva – non può in nessun modo lasciare indifferenti, che si tifi o meno per lo stregone di Pietrogrado.