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Malavoglia

08/04/2011 10:00

Tania Marrazzo

Recensione Film,

Malavoglia

Una famiglia di pescatori siciliani vive in quella che tutti chiamano “la casa del nespolo” sostentandosi con l’unico mezzo a loro disposizione, una piccola imb

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Una famiglia di pescatori siciliani vive in quella che tutti chiamano “la casa del nespolo” sostentandosi con l’unico mezzo a loro disposizione, una piccola imbarcazione chiamata la “Provvidenza: sono i Malavoglia del terzo millennio. Padron ‘Ntoni (Giuseppe Firullo) cerca di tenere unita la famiglia a tutti i costi ma le numerose tragedie che si susseguono ne provocano inevitabilmente lo sfaldamento: Maruzza (Doriana La Fauci) impazzisce a causa della morte del marito Bastianazzo (Carmelo Vaccaro) mentre i loro figli Lia (Greta Tomasello), Alessi (Omar Noto), ‘Ntoni (Antonio Ciurca) e Mena (Elena Ghezzi), si perdono nel degrado e nell’ignoranza di una terra e di un mare che se la prende con i più deboli, e in cui orde di clandestini continuano a sbarcare sperando in una nuova vita.


«Fare un film partendo da uno dei romanzi più importanti della letteratura europea, dal quale Luchino Visconti ha tratto uno dei capolavori della storia del cinema è una sfida che fa tremare i polsi.» Queste le dichiarazioni di Pasquale Scimeca, regista siciliano non nuovo alle trasposizioni letterarie (suoi sono Il cavaliere sole e Rosso Malpelo), che stavolta decide di portare sullo schermo una delle opere simbolo dell’Italia di fine Ottocento che tutti, almeno una volta, hanno sfogliato sui banchi di scuola; una di quelle che si è soliti definire “un classico” secondo l’accezione di Italo Calvino. Malavoglia, in concorso nella sezione "Orizzonti" alla 67^ Mostra del cinema di Venezia e selezionato al Festival di Toronto, si presenta come una rivisitazione contemporanea del romanzo omonimo di Giovanni Verga, in cui il regista più che trasporre il testo letterario ha voluto ispirarsi ad esso per raccontare una realtà che dopo quasi 120 anni sembra non essere mai cambiata; dal punto di vista narrativo infatti non si possono non notare le numerose divergenze rispetto alla trama originale.


Scimeca dunque non ritenta La terra trema, racconta una storia in cui l’accostamento con la sfortunata famiglia di Aci Trezza nasce spontaneamente dall’osservazione di quegli stessi “vinti” del profondo sud Italia sopraffatti dal progresso, violentati da un destino infame che si abbatte sui più poveri e disagiati così attaccati alla “roba” come lo erano i loro predecessori. La speranza è un miraggio, con la stessa sensazione la famiglia, questo nucleo soffocante ma morbosamente necessario, osserva l’orizzonte in attesa del ritorno dei propri membri o di altri clandestini. Forse per conformità alla componente verista gli attori in scena sono quasi tutti non professionisti, scelta efficace in maniera altalenante, a seconda del talento innato, nonostante ciò non è questo l’elemento di maggiore disturbo rintracciabile nel film quanto un tentativo di modernizzazione a tratti banale e un po’ troppo semplicistico. Qualche esempio: il profugo Alef (Naceur Ben Hammouda) che in Sicilia diventa Alfio; l’estroversa proprietaria del locale di nome Uzzy (Roberta Zitelli); le amiche di Lia che riecheggiano Dammi tre parole; la rivalsa di ‘Ntoni amante della musica techno e preda di un male di vivere adolescenziale; Michele (Andrea Paternostro) apparente mafioso, tutte divergenze che, per quanto possano rientrare nel contesto, non convincono pienamente. Malavoglia di Scimeca è un’operazione apprezzabile e intensa: lascia belle sensazioni grazie anche ad una regia ispirata, salvo perdersi col passare dei minuti in una ricerca di un pessimismo sproporzionato che lascia perplessi.


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