Cosa può rappresentare, oggi, il capitolo quarto del franchise partorito dal binomio Craven-Williamson? Poco, decisamente poco. A metà anni ’90, l’esperimento metalinguistico meglio conosciuto come Scream contribuì a rilanciare l’appeal popolare di un genere caduto nel dimenticatoio, ricordo sbiadito di un’epoca d’oro, quella del decennio precedente, che ne aveva cristallizzato apogeo e, al tempo stesso, avviato l’irreversibile quanto naturale e ciclica parabola discendente. L’intuizione craveniana donò all’horror un nuovo posto sotto i riflettori, rivitalizzandone il motore autocelebrativo e riaccendendo una macchina cinema finalmente pronta a recuperare il terreno perduto, soprattutto nella sua angolazione prettamente mainstream e volutamente autoironica. Ma nel 2011, dove ovunque ti giri vedi horror (escludendo gli Stati Uniti: Spagna, Corea del Sud, Giappone, Francia e persino Italia), un prodotto come Scream 4 possiede ben poche ragioni d’esistere. Wes Craven, non pago della sua penultima, imbarazzante fatica (l’impresentabile Red Eye), tenta la fortuna con la carta casalinga, tornando a giocare, in coppia con lo sceneggiatore di fiducia, nell’area di un campo che sembra conoscere a memoria. Scream 4 serializza, fidelizzandola, la sua mitologia: spingendosi ai limiti dell’only for fans e poco aggiunge al bagaglio popolare del riuscito brand; il guaio è che il trucco, oltre al regista, è noto anche allo spettatore, compreso quello meno smaliziato, lo stesso che, con estrema facilità , avverte il senso di già visto quando torna a imbattersi, ancora una volta, di fronte alle dinamiche autoreferenziali e citazioniste dell’ennesima variante costruita attorno al remake aggiornato e corretto dell’istant (meta)movie. L’espediente metacinematografico del fittizio Stab (film nel film introdotto nell’episodio 2 della saga) è tanto funzionale ad un incipit divertito e autoironico quanto scontato nel suo successivo dipanarsi invadente e parallelo al trascorrere della reale pellicola; così come prevedibile risulta il volto che si scoprirà nascondersi dietro la maschera dalle sembianze munchiane, o stucchevoli le pretestuose giustificazioni morali attorno ai concetti di essere ed apparire che muovono l’ingegno del telefonato killer. E se da un lato non si può non ammettere l’abilità squisitamente tecnica del Craven cineasta, dall’altro è impossibile non notare quanto Scream 4, a forza d’inseguire risate, rischi di assomigliare un po’ troppo alla sua canzonatura Scary Movie. Si prendano le rispettive ultime fatiche di quello che una volta veniva considerato il sacro triangolo dell’horror americano: Romero-Carpenter-Craven, il paragone con i certamente imperfetti ma non per questo non riusciti Survival of the dead e The Ward sarà impietoso, comunque utile a comprendere quali dei tre nomi in questione pare non abbia più nulla da dire in termini di freschezza creativa.