Sidney si trasferisce in montagna, lontana da tutto e tutti. A farle compagnia soltanto il padre e un enorme cane da guardia. L’incubo con la maschera di Ghost Face, però, continua a tormentarla. Wes Craven firma il terzo capitolo della saga Scream esattamente ad un anno di distanza dal suo film più bislacco. Scream 3 giunge in sala all’indomani de La musica nel cuore, sviolinata radical chic che, almeno nelle intenzioni d’origine, avrebbe dovuto proiettare il regista sulle poltrone eleganti di Hollywood, allontanandolo, almeno momentaneamente, dal genere horror. Non andò così e, per recuperare la credibilità perduta, il papà di Nightmare non poté far altro che rimettere mano alla sua ultima, riuscita creatura, al fine di riconquistare credibilità tra i fans sbigottiti dal cambio di rotta e, nel contempo, di chiudere la trilogia (che triangolo alla fine non sarà) nel migliore dei modi. Alla sceneggiatura non c’è più Kevin Williamson, prende il suo posto Ehren Kruger (ed è quasi omonimia con Freddy), reduce dal convincente script di Arlington Road. L’occasione è ghiotta: riprendere a tormentare la povera Neve Campbell e tornare ad ambientare il capitolo di una saga in quel di Hollywood dove, guarda caso, si concluse anche l’epopea di Nightmare. L’idea di base è di quelle che strappano perlomeno un pizzico di curiosità: siamo sul set del film nel film “Stab 3” e la mecca del cinema viene addirittura utilizzata per ricostruire una fittizia Woodsboro. Gli ingredienti per tirarne fuori un buon episodio ci sono tutti e, è bene dirlo subito, Scream 3 non dispiace affatto. Kruger non è Williamson ma ci sa fare, inoltre ha studiato il modello originale e taglia la sceneggiatura su canoni classici non rinunciando ad infilarvi di straforo botole dal contenuto a sorpresa. Craven, dal canto suo, bissa quanto dimostrato in abilità tecnica nel capitolo 2: la realtà (?) narrativa è costretta ad un continuo gioco al raddoppio, i teatri lasciano il posto ai set cinematografici e la messa in scena viene designata al ruolo di assoluta protagonista. Sidney corre a perdifiato in una Woodsboro ricostruita, alle sue spalle l’assassino mascherato, lo stesso che bracca gli attori degli attori svelando il loro immediato futuro attraverso una sceneggiatura. Il consueto gioco di specchi, diretto con geometrica precisione. Eppure, eppure. Scream 3 lascia sospettare il principio di una fase di stanca o, nell’accezione positiva della critica rivoltagli, la necessità, praticamente obbligata, di congedarsi dallo spettatore con un finale che, come da copione, colpisca al cuore il bandolo della matassa, facendo calare il sipario attraverso un pronosticabile ritorno alle origini. Inizia, insomma, la fase only for fans della serie, non più spontanea e genuina, bensì leggermente tirata per la giacca. Come se, nonostante il cambio di sceneggiatore, non ci si fosse accorti di come Scream avesse già esaurito buona parte della benzina creativa all’atto secondo. Lo stesso errore commesso con l’episodio 4, gettato in pasto ad appassionati in astinenza nonostante il resto degli spettatori horror non ne sentisse affatto la necessità.