Alan (Giuseppe Zeno, un mare di fiction, ma anche un pò di teatro) è un tossicodipendente. Occhi lucidi, un amore per finta (Valentina D’Agostino) e uno mai dimenticato (Myriam Catania). Stessi abiti e sguardi persi nel vuoto per tutto il tempo. Una madre vedova, invecchiata e rassegnata (Cloris Brosca). Nessuno slancio, poco sesso, un unico vero orgasmo: l’eroina. Giornate passate a “risolvere”, amici in fin di vita ed incontri immaginari col genitore perso prematuramente (Gigi Savoia), che lo rifiuta per la delusione e che lo avrebbe voluto giovane promessa del calcio giovanile. Prigioniero frustrato dei sogni falliti del Padre, Alan vive pervaso da una profonda, mal sanata spaccatura. È tuttavia un uomo di grande sensibilità che riuscirà a rinascere nel nome dell’amore (per la nipote, la madre, la sorella e infine per se stesso), riflettendo senza risparmiarsi sui sentimenti universali. Il sesso aggiunto è una considerazione sull’amore e sull’impotenza dell’amore, su un’impasse che può iniziare a sciogliersi a fine film. Un percorso di autoliberazione che si compie negli interni spogli e modesti, sul cemento sbiadito di una metropoli priva di qualunque identità e nel bianco soffocante dell’ospedale. Castaldo (già documentarista e regista per la pubblicità) si fa carico di un’enorme responsabilità nel trattare un argomento spinoso e delicato, e lo fa nel suo lungometraggio d’esordio. Ma questo coraggio non basta a rendere il film un’opera degna di nota. Decisamente poco adatto agli umori primaverili, Il sesso aggiunto sprofonda (e fa sprofondare) per la durata infinita di due ore, nel buio interiore di un tossicodipendente che filosofeggia psicoanalizzando se stesso e gli altri, ed è pure un pò poeta. Peccato per la buona interpretazione dell’intenso Giuseppe Zeno attore dal volto ruvido e sofferto. Per il discreto lavoro di fotografia (Maurizio Dell'Orco) e per la traccia malinconica e profonda di Nicola Piovani che insieme ai (pochi) momenti di reale intensità tentano di trarre in salvo il film senza successo. Da opera prima, Il sesso aggiunto è un prodotto sbilanciato ed eccedente, giovane e goffo, alle prime armi con i dialoghi spesso ridondanti e la recitazione approssimativa e ingessata nell’abito teatrale. Si parla addosso in un incedere pigro e allentato e se tenta lo slancio rischia il ridicolo.