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Come l'acqua per gli elefanti

29/04/2011 11:00

Leone Auciello

Recensione Film,

Come l'acqua per gli elefanti

Il tendone prende vita ed ecco affiorare magicamente l’eterea dimensione della favola, il regno della perenne illusione, il palco degli incantesimi e degli ecce

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Il tendone prende vita ed ecco affiorare magicamente l’eterea dimensione della favola, il regno della perenne illusione, il palco degli incantesimi e degli eccessi: il circo. Da sempre questo luogo con i suoi bizzarri suoni, gli stravaganti personaggi e le sue variopinte attrazioni ha catturato l’attenzione di artisti e sognatori. Da François Rabelais a Federico Fellini con i suoi Clowns, passando per i dipinti di Hieronymus Bosch e Pablo Picasso, la dimensione circense, quel colorato regno dell’assurdo e del paradosso, ha sempre attivato e attirato l’immaginario poetico. Se in questo contesto fiabesco si introducessero due premi Oscar, una storia d’amore tormentata e si proiettasse il tutto nell’America anni trenta, ci si aspetterebbe certamente un’opera di grandissimo spessore. E invece no. Come in un perfetto spettacolo di magia l’illusione prende il comando della scena, ma se nel circo l’inganno è sinonimo di stupore, qui il miraggio è fonte di delusione. Come un banale trucco di un prestigiatore maldestro.


Dallo scalcagnato cilindro del viennese Francis Lawrence - nato regista di videoclip (da Jennifer Lopez a Shakira, ogni popstar ha lavorato con lui) diventato poi filmmaker dal basso profilo (Costantine e Io sono Leggenda) - è fuoriuscito non un vispo e bianco coniglio ma un film melenso, lento dalle discutibili scelte tecniche e narrative. Tratto dal romanzo della scrittrice canadese Sara Gruen, Come l’acqua per gli elefanti è l’esempio lampante che avere buoni propositi non è sufficiente a garantire la piena riuscita di un'opera. Oltre alla storia delicata e commovente scritta dalla Gruen, Lawrence ha potuto contare sulla presenza dei premi Oscar Reese Whitterspoon (Quando l'amore brucia l'anima) e Christoph Waltz, apprezzato e premiato per la sua meravigliosa performance in Bastardi senza Gloria. A questa coppia di stelle si aggiunge però la prima nota stonata del film, l’ex vampiro idolo delle teenager Robert Pattinson, habitué dei Razzie Awards.


L’attore inglese, conosciuto ai più come l’Edward Cullen della saga Twilight, interpreta Jacob Jankowski, uno studente di veterinaria in fuga dalla propria realtà in seguito alla morte dei genitori. Ci troviamo nell’America anni ’30, l’epoca della grande Depressione, ma anche dell’exploit dei circhi itineranti. E per caso Jacob si ritrova sul treno che trasporta il popolo girovago circense dei Benzini Brothers. Il giovane riesce ad entrare in questo strampalato mondo e si imbatte presto in due personaggi che gli cambieranno totalmente la vita: l’acrobata e cavallerizza Marlena (Whitterspoon) e l’elefantessa Rosie. Il circo è però gestito dall’instabile e lunatico August Rosebluth, personaggio dalla doppia personalità che si scontrerà presto con l’impeccabile moralità di Jacob.


Come accennato, il veterinario d’origini polacche non convince. A parziale discolpa si può addurre che Pattinson, inadeguato al ruolo, non è stata la prima scelta di casting: prima di lui la parte era stato proposta a Channing Tatum (Guida per riconoscere i tuoi Santi), Emile Hirsch (Into the wild) e Andrew Garfield (The Social Network), i quali però declinarono l’offerta. Pattinson non trasporta emotivamente, appare rigido e completamente fuori sintonia con la Whitterspoon, alla quale tocca il lavoro sporco di tenere la scena anche per il collega. Neppure la recitazione dell’attrice premio Oscar affascina: la sua è un’interpretazione pedestre, ben distante dall’esibizione che le è valsa la statuetta. Waltz, spietato e sadico come nell’Inglourious Basterds Tarantiniano, sembra totalmente sprecato, come un raffinato quadro nel salotto di un pacchiano e dozzinale arricchito. Accanto alla poco brillante recitazione dei due protagonisti si affianca una stucchevole modalità espositiva imposta dal regista, che fa raccontare l’intera vicenda a Jacob ormai invecchiato e spaesato, il cui ascoltatore è un direttore di un circo dei giorni nostri. L’abusata e poco originale trovata rovina la narrazione che diventa così prevedibile e frammentata. L’innaturale velocità con cui si sviluppano gli eventi e la totale assenza di preamboli nelle varie vicissitudini in cui si trovano i protagonisti, azzerano il pathos e suggellano la piattezza emotiva di un film che avrebbe dovuto far commuovere e toccare le corde più profonde degli spettatori. Spettatori di un circo invece mesto e silenzioso, rimasti impassibili dinanzi ad uno spettacolo mai iniziato.


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