Jack Sparrow torna a solcare i mari dei Caraibi, questa volta alla ricerca della mitica fonte dell’eterna giovinezza. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura troveremo vecchi amici e nemici e nuovi personaggi, che incroceranno spade e destini come è giusto che avvenga in un racconto di pirati con tutti i crismi. Orfano di Keira Knightley e Orlando Bloom, il cast del film si "consola" introducendo, accanto a Johnny Depp sempre nelle vesti dello strampalato filibustiere, Penelope Cruz, negli affascinanti panni di Angelica, e Ian Mc Shane, in quelli del pirata Barbanera, riproponendo per il resto vecchie conoscenze come Geoffrey Rush nel ruolo di Barbossa e Kevin R. McNally in quelli del timoniere Gibbs. Anche alla regia c’è stato un importante cambiamento: Rob Marshall prende il posto di Gore Verbinski e la differenza si vede, nel bene e nel male. Rispetto ai precedenti episodi infatti, in particolare il secondo e il terzo, la storia raccontata in questo Pirati dei Caraibi - Oltre i Confini del Mare è meno votata al fantasy e all’azione frenetica, riservandosi i tempi, a volte un tantino lunghi, necessari ad articolare con più attenzione i rapporti tra i personaggi e la descrizione degli snodi narrativi di un’avventura che offre invero pochi colpi di scena. Se l’azione, come detto, è ridotta rispetto ai precedenti episodi, mantiene comunque un ruolo più che importante, mentre a subire una notevole riduzione è il ricorso ad elementi fantastici e mostruosi come potevano essere il Kraken e tutti gli uomini pesce dei precedenti episodi: pur essendo presenti elementi mitologici come le sirene, in questo film si torna a raccontare vicende più umane, come lo erano quelle del primo episodio. C’è addirittura un margine, per quanto limitato, di riferimenti politici alle corone di Gran Bretagna e Spagna e un accenno neanche tanto velato al concetto di spiritualità e religiosità , che vengono ora esaltate al limite del fanatismo nella caratterizzazione degli Spagnoli, ora quasi messe in ridicolo a favore dell’amore nel rapporto che si crea fra un giovane missionario e una sirena. Permangono poi elementi magici, profezie e malefici, ripresi in particolare dalla cultura voodoo che dà fondamento ai poteri di Barbanera. Ma questi tocchi d’esoterismo, peraltro affascinanti, restano tutto sommato di contorno rispetto ai dialoghi fra Sparrow e tutti i suoi interlocutori. Forse è questo l’aspetto più interessante del film: a dispetto degli altri personaggi, la cui evoluzione è chiara e costante, Sparrow, nel confermarsi fulcro di tutto, elemento centrale intorno al quale si muovono tutti i personaggi, è al contempo il meno inquadrabile, prevedibile e schematizzabile. Mantenendosi costantemente sopra le righe, Capitan Jack Sparrow riesce nell’arduo compito di risultare coerente pur rappresentando un groviglio di contraddizioni, una mina vagante che mescola opportunismo e sentimento, ambizione e codardia, effeminatezza e fascino virile. Rispetto al supporto delle musiche il solito, grande tema He’s a pirate trova anche in questo quarto capitolo la sua dimensione e declinazione, risultando invero un po’ abusato, ma sempre efficace nel sottolineare con maestosità le avventurose gesta degli eroi dei sette mari. In definitiva, seppur forse la formula denunci una certa anzianità di servizio, questo quarto capitolo si salva dignitosamente, risultando solo un tantino lento in certi frangenti e privo di veri guizzi, ma complessivamente godibile. Resta il dubbio che sia giunto il tempo di aprirsi a nuove idee e nuovi franchise, ma fintanto che l’attuale continuerà a riscuotere tale successo, risulta improbabile che Capitan Jack Sparrow decida di appendere sciabola e tricorno al chiodo: state dunque pronti ad imbarcarvi ancora sulla Perla Nera per le più assurde rotte che l'uomo abbia mai percorso.