
L’ossessione del generale William Stryker (Brian Cox) nei confronti dei mutanti ne mette a serio rischio la sopravvivenza. Per fuggire alla nuova minaccia agli X-Men di Xavier (Patrick Stewart) non resta che allearsi con gli acerrimi nemici capitanati da Magneto (Ian McKellen). Wolverine (Hugh Jackman), intanto, inizia a trovare alcune informazioni sul suo passato…
Dall’uscita del crack Spider-Man è passato solo un anno, ma i cinecomics sono già una realtà assodata. Naturale, quindi, che la Marvel decida di metterci definitivamente la faccia, anticipando con uno skip d’intro, destinato a diventare marchio di fabbrica, il proprio logo durante i titoli di testa. A tre anni dall’uscita in sala di X-Men, Bryan Singer raccoglie i frutti del filone inaugurato allo scoccare dell’anno 2000 mettendo mano all’inevitabile sequel, lo stesso che, per equilibrio pressoché perfetto di forma e sostanza, supera in qualità il già efficace prototipo. C’è un passaggio in X-Men 2 che autorizza un illustre parallelo registico: Wolverine e Lady Deathstryke (Kelly Hu) si affrontano senza esclusione di colpi, una lotta che per parità di strutture (lo scheletro di adamantio) sembra destinata a durare in eterno e durante la quale la memoria corre inevitabilmente a James Cameron e alle infinite variabili antagoniste del dittico Terminator.
Con X-Men 2 Singer riesce in un prodigio nelle corde di pochi eletti (tra i quali proprio Cameron), ovvero dirigere un seguito addirittura superiore, per qualità e consapevolezza della materia plasmata, rispetto al suo comunque positivo predecessore. Parimenti all’azione (indelebili, a tal proposito, le adrenaliniche sequenze d’apertura e chiusura della pellicola), in X-Men 2 cresce la consapevolezza del potenziale metaforico a disposizione, che trasforma il film nell’episodio forse più sociologicamente edotto della saga; mentre vengono limati i naturali difetti di profondità che il primo capitolo si trascinava con sé. Questo per non tacere dello sbocciare di nuovi e affascinanti personaggi, come il “gelido” Bobby Drake (Shawn Ashmore): fidanzatino della letale Rogue (Anna Paquin), addirittura respinto dalla propria famiglia all’indomani di un ritorno a casa obbligato da una situazione d’emergenza, messo alla porta senza troppi complimenti da padre, madre e soprattutto fratello minore. L’episodio in questione (non a caso palesato a metà pellicola) offre a Singer l’assist ideale per cimentarsi con il messaggio preponderante di X-Men 2: lo spirito di gruppo, ossia la spia di sopravvivenza che spinge le fazioni opposte dei mutanti ad allearsi per sopravvivere ad un pericolo comune, quel generale Stryker che, non contento di aver condannato il figlio ritenuto “diverso” ad un irreversibile stato vegetale, si accanisce indefesso nell’ossessione di una vita: sterminare i mutanti. Chiaro, a questo punto, l’intento dell’autore, sottolineare come questi cromosomici freaks riescano in quello che agli umani, cioè ai “normali”, spesso continua a sfuggire: nella forza dell’alleanza, contrapposta ad un eterno amore per la divisione e la ghettizzazione del non gradito. X-Men 2 rappresenta il massimo risultato possibile da raggiungere, Singer lascia da vincitore, ormai pronto a cimentarsi con la sua nuova creatura: Superman Returns.