Tra le urla delle fan e gli scatti dei fotografi arrivano in pompa magna all’Hassler di Roma due dei più grandi protagonisti del cinema contemporaneo: Martin Scorsese e Leonardo Di Caprio, in visita nella capitale per presentare in anteprima mondiale l’ultima opera cinematografica che li vede nuovamente insieme, l’attesissimo Shutter Island. L’affiatamento tra i due si fa sentire fin dall’inizio, l’atmosfera è decisamente rilassata e dà la possibilità a tutti i giornalisti presenti di potersi confrontare con uno dei più grandi maestri viventi del cinema assieme al suo, bellissimo, “attore feticcio”. Il rapporto tra i due è stato subito oggetto di indagine da parte della stampa, curiosa di scoprire l’ingrediente segreto del successo artistico della coppia. I complimenti reciproci ovviamente sono volati, Martin Scorsese non si è risparmiato, dichiarando serenamente di essere costantemente ispirato dall’intensità emotiva che Di Caprio riesce a regalare ad ogni suo personaggio; una scoperta sorprendente che continua a stupirlo ad ogni interpretazione. Leo da parte sua non è da meno e ammette che Scorsese ha la più grande qualità che un attore possa ricercare nel proprio regista: riesce a collaborare con lui ma allo stesso tempo lo lascia libero di poter decidere autonomamente le sorti del proprio personaggio; una prova di fiducia non indifferente visto il “calibro cinematografico” di chi la concede. Per quello che riguarda Shutter Island, invece, sono tante le curiosità emerse nel corso della conferenza stampa. Il film tratto dal best-seller di Dennis Lehane, L’isola della paura: ha infatti molto da spartire con la biografia personale del suo autore, sia da un punto di vista narrativo che cinematografico. La storia di Teddy Daniels, capo della polizia chiamato sull’isola fortezza per indagare sulla misteriosa scomparsa di una pluriomicida, è ambientata all’inizio degli anni Cinquanta, nel clima di paura e psicosi collettiva seguito alle atrocità della guerra. Tale contesto risulta familiare a Scorsese, che all’epoca aveva solo dieci anni ma che - lo ha sottolineato lui stesso - ne ha subito l’influenza, manifestandolo visibilmente nel corso dei 138 minuti del film. Anche dal punto di vista stilistico sono molti i rimandi cinematografici, si parla di Preminger e dello scioccante resoconto sugli ospedali psichiatrici di Fuller, tutti film che hanno fatto parte della vita del regista di Taxi Driver, della sua esperienza di spettatore negli anni Cinquanta e Sessanta.