Silvio Berlusconi è stato condannato per la prima volta al cinema. L'anno era il 2006 e il film Il Caimano di Nanni Moretti, opera che ha fatto incetta di premi ai David di Donatello e al Nastro d'Argento. Mentre abbandona il palazzo di giustizia, nella scena finale, il Berlusconi di Moretti guarda dritto in camera, mentre dal finestrino posteriore della macchina su cui è a bordo si vede divampare un incendio appiccato dai suoi sostenitori. Un finale cult che rappresenta la visione morettiana e non solo: Silvio Berlusconi è un uomo visceralmente legato al suo elettorato, che spinge a ribellarsi contro la magistratura, i suoi antagonisti per eccellenza. Oggi, dopo l'effettiva condanna, Il Caimano è definito da tutti un «film profetico». In realtà, forse, è stato più un film liberatorio: Nanni Moretti si è preso il lusso, almeno nella finzione, di escludere un personaggio che per un certo tipo di intellettuali (e per una certa Italia) all'epoca era indigeribile. Un personaggio che pareva, per altro, inaffondabile. Nella distopia, i seguaci non mollano il capo nemmeno quando è caduto ed è questo che rende il personaggio di Berlusconi tanto spaventoso. Il Caimano è l'unico vero film di fiction in cui Silvio Berlusconi è un personaggio. Dopo essere stato in programma per anni adesso Loro di Paolo Sorrentino sembra poter diventare realtà. A lungo congelato dallo stesso regista perché, come ha dichiarato a Vanity Fair, «Si tratta di una storia troppo complicata», il film torna protagonista dei rumors: e secondo gli ultimi aggiornamenti, a vestire i panni dell'ex Presidente del Consiglio sarà - sorpresa, sorpresa - proprio Toni Servillo. Complicazioni in vista? Può darsi. Del resto il cinema italiano ha sempre avuto un enorme problema a gestire il suo rapporto con Silvio Berlusconi e le sue “complicazioni”. Da un lato, è stato profondamente condizionato dall'idea di cultura introdotta dalle commedie all'italiana targate Medusa, per altro di proprietà di Berlusconi stesso. Dall'altro il cinema ha prodotto un “nemico” che si ripete sempre uguale a se stesso, verso il quale è pressoché impossibile sviluppare un'analisi complessa e che inevitabilmente divide il mondo in tifoserie, a prescindere dalla qualità del film in questione. Nemmeno Il Caimano riesce a sottrarsi da questo sommario incasellamento, per quanto resti un film importante. Il discorso è valido ancor di più per la documentaristica, dove fare un film su Berlusconi costituisce già di per sé una scelta di campo. In questo genere, la filmografia si divide in due grandi filoni: il cinema che racconta l'uomo Berlusconi e il cinema che racconta l'Italia di Berlusconi. Uno degli esempi più celebri del primo gruppo è Silvio Forever, di Roberto Faenza e Filippo Marcelloni del 2011. Faenza è lo stesso regista che nel 1977 ha girato Forza Italia!, film che nulla ha a che vedere con il partito di Berlusconi, ma che invece racconta l'Italia democristiana del Dopoguerra. L'autobiografia non autorizzata di Faenza-Marcelloni incappa inevitabilmente nel ridurre Berlusconi a una grottesca bidimensionalità: le sue caratteristiche principali diventano le barzellette e il machismo, simboli della sua Italietta. Mancano il respiro lungo e la profondità di narrazione di Forza Italia!. Un po' più complessi i Berlusconi messi in scena attraverso le voci di autori stranieri, forse perché liberi dai condizionamenti inevitabili quando dall'Italia si parla di un uomo così ingombrante. Seppur anche anch'essi abbiano sempre in qualche modo dovuto pagare uno scotto per essersi cimentati nell'impresa. Il Berlusconi di Alan Friedman (My Way: The Rise and Fall of Silvio Berlusconi, 2016) ha il merito di raccontarsi senza mediazioni. Quando il giornalista riesce a essere la sua spalla, l'ex Presidente del Consiglio dà il meglio (e il peggio) di sé ed emerge in tutte le sue contraddizioni e i nodi irrisolti. In questo senso, è un protagonista più profondo e sfaccettato dei precedenti, per quanto in alcuni casi la ricostruzione storica non sia accurata. Il film, dichiara il giornalista americano, è costato a Friedman il rapporto con la casa editrice Mondadori, di proprietà della famiglia Berlusconi: all'ex Presidente del Consiglio non è piaciuto neanche l'omonimo libro di Alan Friedmana cui è ispirato il documentario. Ma il Berlusconi cinematografico che più ha creato grane al Berlusconi Presidente del Consiglio è certamente il personaggio ritratto in Girlfriend in a coma film del 2012 firmato dalla giornalista Annalisa Piras e dall'ex direttore dell'Economist, il britannico Bill Emmott. Il titolo del documentario, preso da una canzone dei The Smiths, dà subito la chiave di lettura: la protagonista del film è l'Italia, amatissima fidanzata per Emmott, che il giornalista trova in stato comatoso proprio a causa della crisi culturale provocata dal berlusconismo. Senza avere ambizioni biografiche, Girlfriend in a coma sviluppa la vita politica di Berlusconi e alla fine lo trasforma nel più grande antagonista dell'Italia. Un messaggio complicato da gestire, per Silvio Berlusconi. Il film doveva essere proiettato al Maxxi di Roma nel febbraio 2013: proiezione vietata dalla direttrice Giovanna Melandri (PD) in nome della par condicio, visto che a breve ci sarebbero state le elezioni. Sempre dall'estero arriva il documentario più citato sull'Italia berlusconiana e sui reality show. È del 2009 e lo firma Erik Gandini, regista italo-svedese che ha fatto vedere, per altro, opere ben più meritevoli di successo rispetto a questo film. Si tratta di Videocracy - Basta apparire, che fotografa - in modo a volte in modo un po' didascalico - l'ossessione dell'italia per la televisione e per l'apparire. Silvio Berlusconi torna nei suoi panni prediletti di grande affabulatore, che ha reso possibile l'inganno catodico. Diventa, quindi, inevitabilmente un personaggio, seppure sullo sfondo del protagonista Lele Mora, agente delle star e suo amico e frequentatore. Tre anni più tardi lo stesso Mora è protagonista del meno fortunato Sexocracy, diretto da un altro regista straniero, Ruben Maria Soriquez: qui l'agente delle modelle deve rispondere agli stessi argomenti lasciati in sospeso nel film di Gandini, resi ancora più urgenti dall'arrivo dello scandalo Vallettopoli. Ma ormai Silvio Berlusconi è un personaggio monodimensionale, meno interessante, raccontato attraverso la sua dipendenza dal sesso e dal potere.