Nel pieno degli anni '80 Disney sperimenta i primi e unici film horror della sua (lunga) storia: Gli occhi del parco e Qualcosa di sinistro sta per accadere
I primi anni Ottanta hanno rappresentato per la Walt Disney Company una stagione creativa decisamente fervida e ispirata, contraddistinta da un insolito desiderio di cimentarsi in nuovi generi cinematografici e percorrere sentieri narrativi fino a quel momento inesplorati.
È in questa cornice che hanno avuto origine produzioni dal taglio dichiaratamente fantascientifico come Tron (1982) e il successivo Navigator (1986). È in questa stessa cornice, soprattutto, che vanno inseriti Gli occhi del parco (1980) e Qualcosa di sinistro sta per accadere (1983), due titoli purtroppo poco noti al grande pubblico eppure meritevoli di attenzione: costituiscono a tutt’oggi le uniche incursioni della major californiana nel campo dell’horror.
Sebbene possa sembrare sorprendente che gli Studi Disney - generalmente associati nell’immaginario collettivo all’intrattenimento per bambini e famiglie - abbiano realizzato due film dove dominano la ricerca della suspense e la predilezione per la paura, a un’analisi più attenta appare evidente che la Compagnia di Topolino, fin dagli esordi sul grande schermo, non ha certo avuto remore nel raffigurare con spiccata enfasi drammatica alcuni degli aspetti più terrificanti della natura e dell’essere umano.
Basti pensare a celebri sequenze quali la fuga nel bosco in Biancaneve e i sette nani (1937), l’inseguimento della balena in Pinocchio (1940), il sabba satanico sul Monte Calvo in Fantasia (1940) e l’allucinazione degli elefanti rosa in Dumbo (1941) per comprendere come, anche all’interno di pellicole apparentemente innocue e rivolte ai più piccoli, non siano mai mancate l’audacia e la capacità di far vivere allo spettatore momenti spaventosi o nel migliore dei casi disturbanti.
Entrambi gli horror realizzati da Disney negli anni Ottanta si collocano dunque sulla scia di una tradizione cinematografica ben consolidata; nondimeno, essi tendono a differenziarsi dalle altre produzioni degli Studi di Burbank: stavolta gli strumenti del racconto orrifico non sono più confinati a singole scene del film, bensì diventano le coordinate essenziali entro le quali l’intera vicenda viene concepita e narrata su schermo.
Gli occhi del parco: una ghost story
Gli occhi del parco trae ispirazione dal romanzo del 1976 The Watcher in the Woods di Florence E. Randall. Si presenta come la più classica delle ghost stories: in una magione circondata dal bosco, una famiglia appena trasferitasi nella dimora si trova suo malgrado a dover fare luce su un tragico episodio verificatosi decenni avanti.
Nonostante l’adesione ai convenzionali canoni dell’horror paranormale (apparizioni, voci, possessioni, premonizioni) appaia poco originale e non offra grandi colpi di scena, l’atmosfera spettrale ed angosciante è resa piuttosto bene, grazie al continuo gioco di inquadrature della regia e al buon dosaggio degli effetti visivi e sonori. Il risultato è un titolo che, pur a fronte di un finale travagliato, sottoposto più volte a revisione e distribuito nelle sale in una versione confusa e riduttiva rispetto a quanto inizialmente previsto dalla sceneggiatura, trova i propri punti di forza nell’abile regia di John Hough e l’intensa recitazione di Bette Davis.
L'onirico Qualcosa di sinistro sta per accadere
Anche Qualcosa di sinistro sta per accadere prende spunto da un modello letterario (Il popolo dell’autunno di Ray Bradbury, 1962) descrivendo l’arrivo nel tranquillo borgo di Green Town del parco dei divertimenti di Mr. Dark, personaggio inquietante e tenebroso. Le attrazioni della fiera stuzzicano la curiosità degli abitanti e sembrano in grado di avverare i loro sogni, materializzando ciò che essi rimpiangono o hanno sempre desiderato (salute, bellezza, gioventù, prosperità); ma ogni desiderio ha un costo, e ben presto i popolani cadono preda di terribili sortilegi.
Ambientato nei primi del Novecento, il film di Jack Clayton si configura come una favola horror edificante, in grande di sfoggiare il meglio del repertorio grandguignolesco (freaks, sangue, cadaveri, teste mozzate) per veicolare una bel messaggio di amicizia e amore filiale. A convincere ancora una volta sono l’atmosfera, tesa e raccapricciante, la solida regia, le interpretazioni del cast (memorabile Jonathan Pryce nei panni di Mr. Dark) oltreché l’azzeccata vena nostalgica, tipica di altri titoli del decennio (si pensi al successivo Stand By Me di Rob Reiner). All'epoca, durante la fase di post-produzione, Disney chiese agli autori di apportare alcune modifiche che né Ray Bradbury né Jack Clayton approvarono.
Guardando alla coppia di film menzionati, può risultare facile liquidarli alla stregua di bizzarri e parziali tentativi di incursione della Disney sul terreno dell’orrore cinematografico.
Non bisogna tuttavia dimenticare che si tratta di pellicole destinate in primo luogo a un pubblico giovane e poco smaliziato, in riferimento al quale la loro visione è in grado di garantire più di un semplice brivido. Sarebbe sconveniente sminuire il plusvalore costituito dalla loro unicità. Chissà se la major statunitense, anche alla luce del rinnovato slancio produttivo degli ultimi anni, possa riconsiderare presto il proprio “lato oscuro” e tornare a far tremare, con il suo inconfondibile tocco, nuove generazioni di spettatori.