Il cinema va da sempre a braccetto con l'arte visiva. Sin dalla sua nascita, non ha mai fatto a meno di mischiarsi e confondersi con questa Grande Madre che noi tutti veneriamo. Da semplice supporto a vero e proprio protagonista, il cinema è diventato ormai parte attiva di mostre e musei. Ce lo conferma il regista Premio Oscar Alejandro Iñárritu che, in collaborazione con il fedele direttore della fotografia, tre volte Premio Oscar, Emmanuel Lubezki, presenta la sua installazione Carne y Arena in esclusiva alla Fondazione Prada di Milano, a partire dal prossimo 7 giugno. Presentato in anteprima mondiale al 70° Festival di Cannes — prima volta che un progetto di realtà virtuale sfila sulla Croisette — Carne y Arena arriva nella sede milanese di Fondazione Prada nella sua versione completa di 6 minuti e mezzo. Si tratta di un'immersione in quella che è la vita quotidiana dei migranti che si trovano a varcare il confine tra il Messico e Stati Uniti. Con questa installazione Alejandro G. Iñárritu dichiara di voler superare il solo osservare dello spettatore, di dare a quest'ultimo lo spazio necessario per vivere l'esperienza diretta dell'emigrazione. Con le più recenti e innovative tecnologie di realtà virtuale, il regista ci permette di camminare in un vasto spazio e rivivere sulla nostra pelle il viaggio di un gruppo di migranti, dissolvendo così la sottile linea tra realtà e virtuale. Il cinema diviene così fisico, un'immersione totale dei sensi. Ospitata da uno degli spazi più grandi della Fondazione, il Deposito, l'esperienza comincia in una cella in cui lo spettatore si trova, tolte le scarpe, ad aspettare di entrare. In una stanza bianca e asettica, al freddo, il visitatore è tenuto ad accomodarsi su panchine d'acciaio circondato da scarpe, ritrovate nel deserto del confine USA/Messico. Questo primo step ci aiuta a entrare in una sorta di introspezione, a lasciare al di fuori della porta — che può ricordare quella di una cella o di un frigorifero da macelleria — tutto quello che è la quotidianità , per entrare in una sorta di isolamento. Il disagio, dato dal freddo, contrasta con il caldo dell'estate milanese; le scarpe sparse per il pavimento, parlano di sofferenza e dolore. Si entra a piedi nudi, come nudo deve essere il nostro animo prima di varcare la soglia prestabilita. Un allarme, che ricorda quello delle sirene di guerra, ci avvisa che è il nostro turno di entrare. Lasciata alla spalle la cella, ci ritroviamo in uno spazio illuminato da luce rossa, ricoperto di sabbia. Veniamo equipaggiati di zaino e visore, dal personale di sala. Quando indossiamo visore, l'esperienza inizia. Un percorso intimo e molto forte, che ci mette alla prova. Inevitabile entrare in empatia con il gruppo di migranti: si tratta infatti di persone vere, restituite in realtà virtuale, ma che lo stesso Alejandro Iñárritu ha intervistato personalmente. Ritroviamo le loro storie alla fine dell'esperienza, nell'ultima sala. Rimesse le scarpe, ci troveremo qui, tramite tanti piccoli schermi, faccia a faccia con i protagonisti: arrivati sani e salvi negli Stati Uniti, questi ci raccontano le loro storie. Come sempre nel cinema di Alejandro G. Iñárritu, ogni sofferenza sembra avere un fine. E, così, anche in Carne y Arena troviamo al termine una speranza e una visione positiva. Un lieto fine che non fa mai male. Carne y Arena Fondazione Prada, Milano 7 giugno 2017 - 15 gennaio 2018 Per informazioni, visita il {a href='http://www.fondazioneprada.org/project/carne-y-arena/1'}sito ufficiale{/a}