All'inizio del nuovo millennio approda nei cinema X-Men di Bryan Singer, figlio dell’accordo siglato tra i Marvel Studios e la 20th Century Fox negli anni ‘90. Il film diviene una pietra angolare del genere non solo per gli incassi (quasi 300 milioni a fronte di un budget di 70) ma soprattutto per gli ingredienti che Singer riesce ad amalgamare.
Prende un gruppo di supereroi più o meno noti al grande pubblico (i primi fumetti degli X-Men risalgono al 1963 mentre la serie animata è del 1992), riduce la storia a un racconto di origini e focalizza l’attenzione sul personaggio più noto - Wolverine, poi ci torneremo - condendo il tutto con un cast di spicco: Patrick Stewart, Ian McKellen e il Premio Oscar Anna Paquin.
Rivisto oggi il film non è perfetto - resta ancora ancorato all’idea del “prodotto per ragazzi” e la scena finale sulla Statua della Libertà risente troppo dei limiti del budget - ma della prima visione al cinema (avevo 15 anni) ricordo che: questi mutanti variegati mi avevano stregato e volevo vederne altri in azione; Wolverine, personaggio eccezionale, avrebbe meritato un film a sé stante. Entrambe queste riflessioni non sono stato il solo a farle: infatti nel giro di qualche anno i miei desideri sono diventati realtà.
Nel frattempo la New Line portava avanti la storia di Blade con un sequel di gran lunga superiore all’originale. Le tinte erano più horror e ai vampiri viene affiancata una razza di succhiasangue-mutanti dal design incredibile. Merito di tale successo va senza dubbio all’allora esordiente Guillermo Del Toro, che per i fumetti ha sempre avuto una passione (vedi anche il suo dittico su Hellboy). Il film, pur non arrivando al pubblico mainstream a causa della forte connotazione orrorrifica, riesce comunque a incassare 160 milioni, diventando il maggior successo della trilogia del Diurno.
L'Uomo Ragno di Sam Raimi
Le cose si fanno più serie quando al cinema approda il primo adattamento di Spider-Man. A lungo l’Uomo Ragno era stato corteggiato da svariati registi, da David Fincher (che voleva trasporre il ciclo de La notte in cui morì Gwen Stacy) a James Cameron: l’idea delle ragnatele sparate direttamente dai polsi è sua, la sceneggiatura è reperibile on-line.
Nel 2002 l’Arrampicamuri godeva di uno status-symbol che nessun altro personaggio della Marvel poteva vantare. Portarlo sul grande schermo era un azzardo che non ammetteva compromessi: un successo o la disfatta totale. La Columbia Pictures (detentrice dei diritti) ingaggia William Defoe nei panni dell’iconico villan bGoblin/b, Kirsten Dunst come M.J. (un primo amore differente dal fumetto) e Toby Maguire come Peter Parker. La regia viene affidata a Sam Raimi (già creatore del cinecomics originale Darkman) che riesce ad amalgamare nel film la sua passione viscerale per i fumetti e il suo trascorso come autore di horror.
Un equilibrio perfetto in grado di accontentare i fan più accaniti e il pubblico “a digiuno”; il tutto senza rinunciare al proprio tocco personale: i cammei del suo attore feticcio Bruce Campbell e dell’amica Lucy Lawless alle inquadrature rocambolesche; l’utilizzo di alcuni fotogrammi de L’Aldilà di Lucio Fulci nella sequenza della trasformazione. Con 830 milioni nel mondo Spider-Man diviene il terzo incasso del 2002 e il cinecomics più redditizio di sempre.
L’alba del cinecomics
Lo sdoganamento era iniziato e Hollywood aveva tutta l’intenzione di cavalcare l’onda. I progressi fatti nell’ultimo decennio nel campo degli effetti speciali contribuiscono a rendere più credibili personaggi che per anni non erano riusciti a ottenere la dovuta giustizia sul grande schermo. Come nel caso di Hulk – che la Universal porta al cinema nel 2003 sotto la regia di Ang Lee – creato per la prima volta interamente in digitale: il risultato è mediocre, troppo impegnato a sottolineare con i suoi split-screen (alla lunga molto fastidiosi) che il materiale di partenza era un fumetto. Sorprendentemente, però, è anche il solo film che non sia stato del tutto ignorato dal UCM nonostante il reboot un quinquennio dopo.
La corsa ai cinecomics Marvel era ufficialmente partita. Nello stesso anno sbarcano al cinema il terribile Daredevil di Mark Steven Johnson (odiato dai fan) e X-Men 2, sempre di Bryan Singer. Il film riprende e amplia le tematiche del primo capitolo, aumentando il numero di personaggi e potenziando la spettacolarità della messa in scena. Ma nonostante la coralità della storia, un personaggio viene messo più a fuoco degli altri: Wolverine. Questo focus è dettato sì dalla maggiore fama, ma anche da quello che forse è, a oggi, il casting più azzeccato e longevo della storia dei cinecomics: Hugh Jackman (subentrato a Russell Crowe appena tre settimane prima dell’inizio delle riprese del primo film, nel 1999) ha infatti interpretato il mutante per 17 anni, comparendo in tutti e 9 i film della saga e contribuendo in grande misura al loro successo.
L’asticella si alza nuovamente nel 2004 quando nelle sale esce Spider-Man 2, a oggi uno dei migliori cinecomics mai realizzati. Tutti i personaggi del primo film ritornano nel sequel, iniziando ad adattare al cinema l’idea di bserialità/b che diverrà poi il punto nevralgico del UCM. Il film di Sam Raimi ha rappresenta per molti anni l’apice del genere: dopo ha avuto inizio un progressivo e inesorabile calo di qualità con prodotti mediocri, sfornati di continuo, che iniziano ad annoiare il pubblico generalista e non.
Verso l’Universo Marvel
Tra il 2005 e il 2007 piovono al cinema una sequenza di titoli prodotti dalle principali major hollywoodiane: The Punisher, I Fantastici Quattro, Elektra, X-Men: Conflitto finale, Ghost Raider, Spider-Man 3, I Fantastici 4 e Silver Surfer. Gli studios stavano spremendo a più non posso i diritti di sfruttamento dei personaggi e i Marvel Studios non potevano fare altro che restare a guardare. Mentre sceneggiatori incompetenti snaturavano le loro creature di carta, la Casa delle Idee non aveva né il controllo creativo né tantomeno un ricavo dignitoso.
Per i primi due film dell'Uomo Ragno, a fronte di un incasso complessivo di un miliardo e mezzo di dollari, la Marvel porta a casa 65 milioni; mentre dei due miliardi ottenuti dalla trilogia sugli X-Men si è dovuta accontentare di 26 milioni. Praticamente gli avanzi. Era ora di passare al contrattacco, scendendo in campo con film prodotti sotto il più totale controllo. Ma che personaggi avrebbe potuto portare sul grande schermo Marvel, al netto dei diritti che negli anni aveva ceduto alle major?
È allora che l’assistente del CEO dei Marvel Studios Avi Arad, un ragazzo allora trentenne di nome bKevin Feige/b, fa notare che vi è un gruppo di personaggi totalmente libero da vincoli contrattuali: i Vendicatori, sia come personaggi singoli che come super-gruppo. La direzione da intraprendere diventa chiara da subito.