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Marvel e il cinema, vol. 4 - Gli anni della "dittatura" Marvel

21/04/2018 13:11

Marco Filipazzi

Approfondimento Film, CineComics,

Marvel e il cinema, vol. 4 - Gli anni della "dittatura" Marvel

Da Thor di Alan Taylor all'Ant-Man mai realizzato di Edgar Wright: il despotismo Marvel, tra nuove leve e grandi abbandoni

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Dopo The Avengers i Marvel Studios si gettano nella Fase 2... pianificando già una Fase 3! Si tratta di film che avrebbero approfondito i personaggi noti e introdotto quelli nuovi, il tutto senza tralasciare una trama di fondo che avrebbe fatto da collante per i crossover futuri. La Fase 2 cavalca l’onda d’hype generata da The Avengers, ma è anche il momento in cui si inizia a udire qualche scricchiolio strutturale all’interno dell'UCM, nonostante ogni film venga ricoperto di elogi (talvolta esagerati) da parte della critica.

 

I sequel diretti

 

 

I primi tre film della Fase 2 riprendono i fili narrativi di personaggi già noti. L’apripista è sempre Iron Man, ma nonostante gli spunti interessanti (il disturbo post-traumatico della battaglia di New York e la presa di coscienza di essere solo un uomo) e la regia di Shane Black (solida nelle scene d’azione e disinvolta in quelle umoristiche), il film non aggiunge nulla di nuovo.

 

 

Si perde anche la deriva alcolica di Tony accennata nel secondo episodio, che qui avrebbe potuto trovare terreno fertile. Enorme WTF nel finale, quando finalmente Stark si fa togliere le schegge che gli insidiano il cuore: perchè non farlo già nel 2008, di ritorno dalla prigionia in Afghanistan?

 

 

Thor: The dark world di Alan Taylor risolve il problema di Loki, che ha cercato di conquistare la Terra come se fosse stata una scaramuccia tra fratelli: un strigliata di papà Odino, la reclusione in una cella d’isolamento (l’equivalente di «Sei in punizione, va' in camera tua!») e la speranza che questa volta abbia imparato la lezione. I toni, molto più leggeri rispetto al film di Kenneth Branagh, riducono tutto a una storia d’amore travagliata e alla solita corsa per salvare il mondo da un nemico (Malekith, l’elfo oscuro) a dir poco insipido. La sola utilità del film è la scena post-credit in cui finalmente i piani della Marvel si palesano sotto forma di Gemme dell’Infinito.

 

 

Empire ha scritto: «L’intrattenimento è così elevato che i difetti non contano».

 

 

Captain America: The winter soldier, il punto di svolta

 

 

L’entrata in scena dei fratelli Russo diverrà una garanzia per la Marvel. La loro gavetta televisiva (punto in comune con Joss Whedon e Alan Taylor) porta a due considerazioni: l’UCM assomiglia sempre più a una serie tv, con episodi da 200 milioni; nei serial i registi (i loro stili e le loro idee) contano sempre meno, e anzi diventano operai su commissione.

 

 

Il film è una spy-story incalzante, con ottime scene d’azione (anche se limitate dal PG-13) e i numerosi personaggi (Cap, Fury, Vedova Nera, più i nuovi Falcon, Crossbone e il Soldato d’Inverno) che trovano tutti il giusto spazio. Il problema sta in una battuta nel finale, che si perde tra le esplosioni degli helicarrier: «Uccideremo 20 milioni di persone per salvarne 7 miliardi» rivela l’Hydra; e gli eroi rispondono stoicamente «No!». Non che uccidere 20 milioni di persone sia giusto, ma quantomeno è da considerare in termini di “tributo di sangue” per salvare un'umanità di 7 miliardi (persino Superman ha mietuto una vittima dopo 85 anni!). Questa semplificazione, che banalizza il tema del sacrificio, è una forzatura che ricorda quella alla base di Captain America: Civil War, l’anello più debole dell’UCM.

 

 

I Guardiani della Galassia

 

 

Al ComiCon 2012 la Marvel annuncia il progetto più rischioso dei suoi 4 anni d’attività: Guardiani della Galassia, adattamento di un fumetto borderline con protagonista un gruppo di mercenari spaziali. Ulteriore azzardo è la decisione di affidare il film a James Gunn: viene contattato dalla Marvel quando ha all’attivo le sceneggiature di un paio di film della Troma, i live action di Scooby-Doo e il remake de L’alba dei morti viventi di Zack Snyder. Come regista aveva co-diretto con Lloyd Kaufman un adattamento shakespeariano in chiave trash (Tromeo & Juliet) e in solitaria un b-movie su delle lumache spaziali (Slither), oltre a una satira violenta sui supereroi (Super – Attento criminale!).

 

 

Ad aumentare l’hype è anche il cast stellare: Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista più Vin Diesel e Bradley Cooper, che avrebbero prestato voce e fisicità a due personaggi in CGI (oltre a Josh Brolin nei panni di Thanos). Quest’ultima notizia scatena le speculazioni sulla trama, che introduce il Folle Titano e la sua ricerca delle Gemme dell’Infinito. Questo, unito all’eccentrica regia di Gunn (il solo che sia riuscito a imporre il suo stile), decreta il successo del film con 775 milioni d’incasso.

 

 

Le divergenze creative

 

 

Avengers: Age of Ultron esce in Italia il 22 aprile 2015, tre anni dopo il primo crossover. La regia è sempre di Joss Whedon, ma questa volta in conferenza stampa appare più freddo: al punto che, prima che il film uscisse, era già noto il divorzio tra il regista e la Marvel. «Sapevo già che, una volta concluso Ultron, sarei passato ad altro. Quando i produttori ti ascoltano è molto bello, ma non è facile essere ascoltati sul serio. Perciò per me è stato importante andare via in modo amichevole, anche se...»

 

 

Le tensioni produttive si rispecchiano nel film, decisamente meno fluido del primo, appesantito da un groviglio di trame (Ultron e i conflitti tra i Vendicatori), sottotrame (la love-story tra Banner e Romanoff), fili narrativi chiusi in fretta (l’Hydra), nuovi concetti da introdurre (Wakanda e vibranio), nuovi personaggi (Quicksilver, Scarlet Witch, Ulysses Klaw) e il collante delle Gemme dell’Infinito (la nascita di Visione). Non ultimo il problema d’inserire ironia forzata in bocca a tutti! Ultron, una superintelligenza artificiale che, al suo secondo monologo, non riesce a trovare la parola bambini nel vocabolario?!

 

 

Le parole di Whedon alimentano le speculazioni (già fatte intendere da Black e Taylor) sulla dittatorialità dei Marvel Studios. Voci che trovano conferma anche nell’addio di Edgar Wright poche settimane dopo l’inizio delle riprese di Ant-Man, progetto covato dal regista per ben 7 anni e scelto come epilogo della Fase 2.

 

 

«La risposta più diplomatica è che io volevo fare un film Marvel ma loro non volevano fare un film di Edgar Wright. Avrei dovuto diventare un regista su commissione, il che ti spinge a chiederti perché sei lì». Wright resta accreditato come autore della sceneggiatura, ma viene rimpiazzato dal regista di commedie Peyton Reed. A conti fatti Ant-Man resta un buon film d’origini che ricalca la trama del primo Iron Man, spinge molto sull’ironia e presenta un eroe dai poteri inediti. Ma resta il rammarico su quello che avrebbe potuto realizzare Edgar Wright.

 

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