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Marvel e il cinema, vol. 5: la deludente Fase 3

02/05/2018 18:21

Marco Filipazzi

Approfondimento Film, CineComics,

Marvel e il cinema, vol. 5: la deludente Fase 3

L’umorismo a tutti i costi e l’abbandono dei fumetti tra Guardiani della Galassia 2 e Black Panther

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Conclusa la Fase 2 i Marvel Studios sono un colosso con una media di 880 milioni d’incasso a film. Nel corso della Fase 3 però iniziano a emergere difetti evidenti, con scene d’azione sempre più mastodontiche e prive di fisicità e un umorismo spesso fuori luogo.

 

Il target di riferimento si abbassa a giovanissimi a digiuno di fumetti, bistrattando i fedeli lettori e la natura stessa di alcuni personaggi. Il tutto accompagnato da un appiattimento di toni, idee, coraggio e contenuti che però vengono (puntualmente ed eccessivamente) esaltati dalla critica.

 

 

La guerra dei poveri

 

 

Con 12 film all’attivo e un parco personaggi sempre più nutrito, la Marvel adatta uno degli eventi più grossi del fumetto contemporaneo: la guerra civile tra supereroi. Ora, senza considerare la run di Mark Millar, esaminiamo Captain America: Civil War. New York. Washington DC. Sokovia. Gli Avengers hanno combattuto il nemico e salvato numerose vite ma, come in ogni battaglia, inevitabilmente hanno causato morte, distruzione e dolore. «Sebbene molti vi ritengano eroi, altri preferiscono la parola vigilanti» dice il generale Ross.

 

 

«Con gli accordi di Sokovia, sottoscritti da 117 paesi, gli Avengers opereranno sotto il controllo delle Nazioni Unite». Ora, al dì là del fatto che Ross (personaggio riciclato da L’incredibile Hulk) sia detestabile, il concetto non è sbagliato: esseri con poteri illimitati che agiscono senza alcun controllo, se non il loro buonsenso. «Se non ci mettono un freno siamo senza confini e non siamo migliori dei cattivi» dice Stark. Queste motivazioni – ampiamente chiarite in almeno un’ora di film – creano subito un contrasto tra Stark e Cap, con quest’ultimo che si appella al mantra «Anche se tutto il mondo ti inviterà a spostarti è tuo dovere stare piantato come un albero».

 

 

E se nella prima parte il film regge bene, tutto inizia a vacillare quando entra in scena il Soldato d’Inverno, già di suo un personaggio nonsense: sopravvissuto a una caduta di almeno 100 metri da un treno in corsa sulle Alpi svizzere viene portato in Siberia dall’Hydra per fargli un lavaggio del cervello. Ma perché trasportare un soldato americano mezzo morto e senza un braccio attraverso un continente in guerra quando ci sono altri Soldati d’Inverno volontari in loco? Se è vero che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità» allora ogni eroe è responsabile delle proprie azioni e deve renderne conto. Capitan America invece fugge – sottraendosi alle colpe di cui sopra e all’appello del mondo di costituirsi – proteggendo un killer che per 70 anni ha ucciso senza coscienza.

 

 

Narrativamente parlando tutto ciò appare forzato e pretestuoso. «Il tuo amico ha ucciso degli innocenti» gli fa notare Tony Stark. «Quello che ha fatto... non era lui. Non ha avuto scelta» lo giustifica Cap. Ciò non cambia il fatto che delle persone siano morte, sia per mano di Bucky che per quelle degli Avengers. Vittime collaterali? Tributi di sangue necessari per far sì che il bene trionfasse e Cap potesse riavere il suo amico? Se così fosse perché questa prospettiva così egoistica è accettabile mentre «uccidere 20 milioni di persone per salvarne 7 miliardi» no? Solo perché questa proposta è dell’Hydra? Anche il Soldato d’Inverno è cattivo, ma viene redento solo ed esclusivamente perchè ha un trascorso con Cap. «Lui è mio amico» grida nel finale a un Tony Stark afflitto che gli risponde: «Lo ero anche io».

 

 

E la guerra civile si riduce quindi a una rissa nel parcheggio di un aeroporto (dove quando qualcuno si fa male l’avversario gli chiede scusa) per salvaguardare un’amicizia in barba a ciò che chiedono le Nazioni Unite a nome del mondo che gli Avengers sostengono di proteggere. Questo senza considerare il fatto che: esistono altri Soldati d’Inverno che Cap non conosce personalmente e quindi vanno uccisi prima che possano fare del male a qualcuno; il finale buonista fa presagire che questo film sia un’ellisse fine a se stessa e tutti i diverbi verranno appianati con l’entrata in scena di Thanos.

 

 

Ritorni e nuovi personaggi

 

 

Ampliando gli orizzonti, Captain America: Civil War anticipa l’entrata in scena di due personaggi. Il primo è bSpiderman/b, ritornato in seno alla Marvel (l’Homecoming del titolo è tutt’altro che casuale) dopo 5 pellicole e una lunga battaglia con la Sony. Spider-Man: Homecoming ignora la storia del morso di ragno e sorvola sul personaggio di Zio Ben (abbattendo in modo drastico la drammaticità del personaggio) concentrandosi invece sul primo scontro tra l’Uomo Ragno e un super-villain. L’Avvoltoio di Michael Keaton è il cattivo Marvel meglio scritto dai tempi di Loki; il resto è fan-service all’acqua di rose, privo di qualsiasi tensione o emotività

 

 

Il secondo personaggio è Black Panther, il cui film ha destato nella critica un entusiasmo fuori misura. Un film d’origine come tanti: al di là del fatto inedito di essere ambientato in Africa, non aggiunge nulla di nuovo, trascinandosi per 134 minuti verso un prevedibile epilogo con picchi di comicità fuori luogo e a tratti demenziale.

 

 

Non va dimenticato anche Dr. Strange, che ha il merito d’introdurre nel UCM il concetto “astrale”. La prima mezz’ora di film è da manuale per regia e scrittura: il protagonista è delineato in poche scene (bravo Scott Derrickson!) ma quando la storia s’incentra sulle origini dello Stregone Supremo la sola cosa a rimanere impressa è la psichedelia visiva. Al di là dei vari deja-vù nolaniani, le scene ambientate nel piano astrale sono veri trip, ma la storia è un canovaccio classico che non riserva sorprese. Il carisma di Mads Mikkelsen come cattivo risibile è a dir poco sprecato.

 

 

Comicità irrazionale

 

 

Guardiani della Galassia Vol. 2 resta del tutto slegato rispetto al UCM. Sebbene i toni del primo film fossero già leggeri, qui il livello di comicità rasenta quello di Alvaro Vitali. La seconda parte si ricoglie un po’ grazie a una buona interpretazione di Kurt Russell e a un finale toccante. Nonostante i difetti resta uno dei migliori film della Fase 3.

 

 

Il ritorno di Thor

 

 

Con 854 milioni d’incasso il fatto di aver ridicolizzato lo Zio del Tuono (battuta ripetuta come un tormentone di Zelig) ha pagato, ma a quale prezzo? In Thor: Ragnarok Marvel ha dissacrato senza pudore bThor/b, la caduta degli Dei, la Dea della morte e persino Hulk (si sperava in un accenno a War World Hulk, invece è un bambinone scimunito) imbastendo siparietti comici e battibecchi inconcludenti per 132 minuti!

 

 

I buchi illogici di trama (Loki ha cercato di uccidere il re di Asgard, prendendo il trono con l’inganno e recludendo Odino in un ospizio sulla Terra, con che conseguenze? Praticamente nessuna) fanno di Thor: Ragnarok un epitaffio comico; la dimostrazione di quanto l'umorismo incontrollato sia culturalmente nocivo.

 

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