Mike Leigh, classe 1943, barba e capelli bianchissimi, occhi azzurri velati ma sguardo pungente, tanto disponibile con la stampa quanto pronto a non perdonare la domanda mal posta o sbagliata e a replicare con un'indomita ironia: uno dei più grandi registi viventi.
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Non c'è un solo film nel corso della sua carriera che non abbia vinto premi ai più prestigiosi festival internazionali. Leigh è il regista dell'impegno civile, ma anche umano, capace di raccontare la storia del diciannovesimo secolo come di dare voce a un grande pittore, a una donna delle pulizie o a un meccanico.
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SilenzioinSala.com ha incontrato Mr. Leigh alla Casa del Cinema di Roma, in occasione dell'anteprima del suo ultimo film: Peterloo, un affresco epico degli eventi legati alla strage avvenuta nel 1819 a Manchester, durante un pacifico raduno pro-democrazia, di cui quest'anno ricorre il bicentenario.
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Il regista inglese, che ama molto parlare e sa farlo, ci ha dato lezioni di cinema, di politica e di umanità . Senza dimenticare una buona dose di sense of humor.
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«Mi auguro che Peterloo stimoli in ogni spettatore preoccupazioni sul tema della democrazia. Abbiamo iniziato a lavorare al film all'inizio del 2014 e, mentre eravamo in una fase di documentazione e preparazione del film, ci siamo resi conto che giorno dopo giorno accadevano cose nel mondo che rendevano i temi del film sempre più attuali. Naturalmente all'inizio del 2014 non potevamo prevedere che il mondo sarebbe cambiato così tanto nell'arco di 5 anni come poi è successo e lo vediamo; oggi, 2019, rispetto al 2014 sembrano essere passati molto più di 5 anni».
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«Tendiamo in modo naturale a dare per scontate tutte le caratteristiche positive della democrazia, però vediamo accadere nel mondo eventi come il referendum sulla Brexit e il suo esito, come le elezioni negli Stati Uniti, come quanto sta avvenendo in Italia, recentemente. Quello che avviene in tanti paesi nel mondo che non ci fanno mettere in discussione i principi democratici su cui siamo tutti concordi e che vanno assolutamente difesi, ma ci spingono a riflettere su che cosa può accadere quando la procedura democratica va storta».
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«Non ho mai fatto dei film con l'intento di dare allo spettatore una soluzione né di proporre un messaggio chiuso. I miei film sono istintivamente aperti e questo credo che sia il giusto ruolo di ciascun cineasta: affidare al pubblico il compito di partire con delle riflessioni personali, da un luogo emotivo che si crea durante la visione di un film. Da quelle emozioni che possono essere di costernazione o rabbia, è possibile riflettere su quelle che potrebbero essere delle eventuali soluzioni».
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«Perterloo non fa eccezione, quindi abbiamo immediatamente deciso di non concluderlo con degli slogan, senza nemmeno danre dei dati storici precisi su quante persone sono finite in carcere, quanti sono morti, cosa è successo dopo, quando è stato ottenuto il suffragio universale perchè queste sono informazioni che ciascuno di voi è in grado di procurarsi per conto proprio. Il nostro desiderio era quello di mettervi in una condizione emotiva che fosse poi terreno fertile per riflettere. Il film è un invito alla riflessione, su quello che è e che comporta la democrazia e che cosa ciascuno di noi può fare per preservarla».
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bCome mai giovani registi fanno raramente film di impegno civile o politico come quelli di Ken Loach o suoi?/b
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«Mi sento di dissentire rispetto a una mancanza di impegno da parte di giovani cineasti. Credo abbiano comunque motivazioni per osservare la realtà che li circonda e non vorrei abbracciare questa generalizzazione. C'è una parte di giovani autori che per via della cultura dei mezzi di comunicazione ed informazione attuali, si trova ad avere un senso della realtà diverso rispetto al nostro»
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«Vorrei aggiungere che se da un lato è vero che oggi le nuove tecnologie consentono a chiunque di fare un film, a un altro livello ormai è difficile, quasi impossibile, per un giovane autore riuscire ad avere i finanziamenti necessari per fare un vero film nel senso convenzionale del termine. E questo perchè ormai la mentalità da parte di chi deve offrire i finanziamenti per fare un film è quella da grande corporation e quindi giudica un progetto solo in base alla sua bontà in termini di ritorno economico di rientro degli investimenti fatti».
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«Quindi un film vale soltanto per il suo potenziale commerciale e non per il suo valore autoriale. Questo rende immediatamente difficile se non impossibile per un giovane autore avere la libertà di cui invece due veterani come me e Ken Loach abbiamo goduto quando dovevamo fare i nostri film senza subire delle interferenze. Quindi il problema non è, credo, da parte di giovani autori che non hanno un impegno sociale e politico ma nel sistema produttivo nella sua essenza, così come è oggi»
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bQuali sono i giovani cineasti di oggi che lei ammira?/b
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«Ero a Lussemburgo al Festival del cinema e ho visto un film che mi è molto piaciuto che si chiama Ray and Liz di Richard Billingham: un ottimo film».
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bCome mai ha deciso di raccontare il massacro di Peterloo secondo diversi punti di vista?/b
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«Certo, si poteva fare un film sul giorno della strage di Peterloo ma sarebbe stato di scarsa rilevanza e scarso significato. Se si vuole coinvolgere lo spettatore, se gli si vuole far comprendere tutte le dinamiche in atto e i temi che hanno portato a quel tragico evento è necessario fargli comprendere tutti i vari punti di vista. Secondo me questo era l'unico modo intelligente per parlare di quel capitolo della nostra storia»
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bQuanto tempo c'è voluto a girare tutto il film e quanto è stato complicato girare le scene di massa?/b
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«Ci sono volute 16 settimane per le riprese dell'intero film e 5 sono state dedicate alla sequenza del massacro finale. Ho avuto la fortuna di lavorare con una troupe straordinaria, come sempre, ed è stato necessario fare un grande lavoro di organizzazione e di immaginazione. Per quanto riguarda la scena del massacro abbiamo deciso, col direttore della fotografia, da subito, che non avremmo utilizzato alcuna immagine coi droni. Abbiamo posizionato le macchine da presa alla stessa altezza delle persone che affollavano la piazza e ne abbiamo utilizzate 3».
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«Poi il nostro sforzo è stato quello di concentrarci di volta in volta sui vari elementi che compongono questa scena corale così grande e quindi le piccole scene all'interno della grande scena. Da un lato ci sono i magistrati, la zona del palco, le varie famiglie che occupano la piazza: è stato un lavoro di preparazione molto attento, molto dettagliato e poi su questo film ho lavorato con una storica, che è anche la storica dell'arte che mi aveva fatto da consulente su Turner: Jacqueline Riding, che ha lavorato con tutte le comparse che si vedono in quella scena.
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A loro Jacqueline ha spiegato esattamente cosa avrebbero fatto, il contesto storico, chi erano i vari ruoli che avrebbero impersonato, quale era lo scopo per cui era stata indetta questa grande manifestazione, che cosa sarebbe successo, in modo tale che fossero tutti consapevoli della loro presenza nel girare la scena e non fossero un sacco di patate messo lì per caso. Questo ha fatto sì che emergesse dall'indagine stessa, un sentimento di complessità da parte di queste persone che sapevano avrebbero incarnato. Un lavoro di organizzazione, di creatività , immaginazione e preparazione».
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bCome si è documentato e come ha lavorato alla sceneggiatura, trattandosi di un evento storico?/b
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«A questo film ho lavorato come ho lavorato a tutti i miei film. Per me non si tratta di una scrittura convenzionale per quanto riguarda la sceneggiatura. Parto sempre da un lavoro di documentazione che faccio in primo luogo io da solo per cercare di individuare gli elementi che andranno a comporre la narrazione del film. Poi seguono altri 6 mesi di preparazione ed è un lavoro che faccio insieme agli attori per riuscire a ritagliare, creare i personaggi insieme a loro, sulla base degli elementi che ho precedentemente selezionato per individuarli».
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«Con loro cerco di costruire il carattere dei ruoli. Con questi stessi attori, dopo i 6 mesi di preparazione andiamo sul set e proviamo quello che sarà poi il film. Mentre siamo sul set, scena per scena, sulla base dell'improvvisazione che gli attori fanno dei personaggi, attraverso questo processo di prove filmate, viene scritta la sceneggiatura. Questo è il mio modo di lavorare e non è mai cambiato in nessun film».
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«In questo film in particolare i discorsi spesso si basano su quelli che sono stati i veri discorsi dell'epoca che ho trovato durante le mie ricerche. Sono quindi le fonti che ho utilizzato, fonti storiche vere. Naturalmente per fare un lavoro di questo tipo è necessario avere degli attori estremamente intelligenti, e non tutti gli attori sono intelligenti, ce ne sono di alcuni profondamente stupidi, ma nessuno di questi ha mai fatto parte del cast di un mio film. Tutte le ricerche sono state condotte non soltanto da me ma da ciascun protagonista del film e gli attori si sono impegnati in un progetto che è frutto di uno sforzo di squadra di tutti noi».
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«Sostanzialmente il lavoro di sceneggiatura avviene in questa combinazione di vari fattori: la mia documentazione (letture, testi storici), la presenza della storica (fondamentale, soprattutto in un film di questo tipo) e capire poi che cosa sarà presente nel film, nel senso di quale tipo di personaggio avremo. Poi il lavoro con gli attori in esterni o sul set a prescindere e la possibilità di rendere il ritratto di persone realmente esistite o invece personaggi che sono frutto della mia immaginazione, come alcuni dei magistrati o la famiglia del protagonista».
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bQuale è il rapporto fra realtà e cinema?/b
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«Nel film c'è una scena in cui i magistrati puniscono severamente per piccoli reati alcuni imputati. Quelli sono casi giudiziari realmente esistiti e presenti nei verbali che noi citiamo letteralmente e che abbiamo semplicemente drammatizzato, ma sono esattamente come si sono svolti nella realtà dei fatti».
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«Quando io faccio un film desidero che il pubblico creda che il mondo che vede sullo schermo sia il mondo reale, anche se magari non è il mondo contemporaneo. Detto questo non faccio documentari, non faccio docu-fiction, non faccio film naturalistici bensì realistici. Quello che a me importa è presentare allo spettatore un mondo reale, tridimensionale, che risuoni nel mondo in cui lo stesso spettatore vive oggi, che sia un mondo che palpita di vita, che abbia pregi, difetti e imperfezioni. Proprio per questo motivo quando giro un film di ambientazione storica cerco le location più giuste dove ambientare la storia, sono estremamente accurato nella ricostruzione dei costumi, c'è dietro tutto un lavoro di documentazione, anche sul linguaggio».
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«In particolare in Peterloo la ricerca è stata filologica, avendo non solo a disposizione fonti reali per quanto riguarda i discorsi fatti, ma anche distinguendo quello che è l'eloquio da parte dei rappresentanti dell'autorità , per esempio, rispetto al linguaggio della classe operaia, col suo accento e il suo diverso modo di parlare. Solo con questa attenzione al dettaglio, era possibile per me mostrare un mondo reale in cui sia possibile per uno spettatore identificarsi, perchè ci crede».
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«Nulla vieta ad altri autori di trovare legittimazione nel fare un film che verta sulla fantasia, ma non bisogna fare confusione tra quello che è un film d'epoca e quello che è un film di fantasia. Capita che un film possa diventare fantasioso nel momento in cui non fa questo processo che invece faccio io. Va bene così, ma è un film diverso. Se vuoi che il pubblico abbia a cuore i personaggi e gli eventi e riesca ad assimilarli con un processo di identificazione si tratta di mostrare quella realtà ».
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bCome è il legame fra lei e la sua troupe?/b
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«Lavoro con un gruppo di persone dotate di grande talento: serie, spigliate, intelligenti, dotate di un grande senso dell'umorismo e siamo sulla stessa lunghezza d'onda quando si tratta di arrivare allo stesso obbiettivo. Il nostro scopo è essere al servizio della verità del film che vogliamo fare e la collaborazione può avvenire in base ad alcune indicazioni che io do sullo stile, sul mood, sul sentimento del film».
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«Facendo un esempio pratico, ne La Felicità Porta Fortuna, arriva un momento, come in tutti i miei film, in cui c'è un incontro col il direttore della fotografia, con lo scenografo, il costumista, il trucco, e condividiamo quello che è lo spirito stesso del film, la sua natura. In caso di Naked invece la storia era in evoluzione e ricordo di aver detto loro che sarebbe stato un film notturno, il viaggio di un uomo estremamente solo, quindi un film con un look più cupo. Abbiamo fatto una serie di test in laboratorio per decidere il colore da dare al film e i loro suggerimenti si sono tradotti in quello che sarebbe stato il contenuto visivo dello stesso film».
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«Nel caso di La Felicità Porta Fortuna era invece l'esatto contrario: c'è una donna che straripa di energia, quindi avrei voluto un film molto variopinto, colorato, da girare in panoramico. Si tratta di un lavoro osmotico nel quale appare il nostro spirito di squadra, fatto di condivisione costante dall'inizio alla fine. Ma fare cinema è questo».
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bIl film porta l'etichetta Amazon. Che pericoli e quali opportunità vede in queste produzioni?/b
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«La mia risposta è prevedibile e condivisa da tanti altri autori: è evidente che Peterloo visto sullo schermo di un iPhone non sia una bella notizia. E non è una grande notizia neppure che possa essere visto su uno schermo televisivo domestico, anche se c'è da dire che rispetto a quando mi ricordo io, cioè le televisioni degli anni 50 stile francobollo, oggi gli schermi televisivi hanno dimensioni assolutamente accettabili».
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«L'esperienza di questo film in una sala cinematografica buia, condividendola con altri spettatori, è preferibile alla tentazione di saltare qualche scena, di cambiare canale per vedere cosa c'è dall'altra parte, di prepararsi un caffè o di andare a fare la cacca. Ma il progresso è il progresso ed il tempo è inesorabile. Mi viene da fare un altro paragone: io sono un appassionato di musica che ascolto a casa, ma non l'ascolto più con i cilindri di cera scomparsi nel 1910, anche le cassettine sono sparite. Ho una vastissima collezione di cd, ora come ora, ma so che in futuro userò anche altri metodi per ascoltare la musica».
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«Non puoi fare altro che abbracciarlo il progresso, e al di là del mio lapsus (brexflix) fra Brexit e Netflix, Netflix ha sia aspetti positivi che negativi. Immaginare di vedere un film cinematografico come Roma solo sullo schermo televisivo è ridicolo. C'è però da dire che il mio film è stato realizzato con il sostegno di Amazon Studios che ha veramente offerto una massima disponibilità senza intromettersi in nessuna delle decisioni che ho preso in nessun ambito e che un film come questo merita di essere visto in una sala cinematografica. Comunque anche io guardo Neflix e non picchio i bambini. E non ho rapporti sessuali con i maiali. Mangio carne, guido la macchina.»
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bIn Peterloo il giovane Joseph è un filo rosso, un simbolo, un agnello sacrificale: entra all'inizio del film, attonito, innocente e ne esce in una bara. Colpisce molto che lei scelga sempre come protagonisti dei suoi film gente comune, persone normali/b
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«Questo, contrariamente agli altri miei film è un lavoro in cui non c'è un unico protagonista, e non ricordo come sono arrivato a creare questa struttura circolare partendo dal personaggio di Joseph, ma è avvenuto spontaneamente farne l'emblema delle vittime di tante situazioni sociali e storiche. La battaglia di Waterloo aveva messo fine al lunghissimo conflitto delle guerre napoleoniche ed è stato un conflitto che ha visto partecipi soldati non professionisti, non addestrati per combattere queste guerre in cui venivano arruolati e portati nei campi di battaglia senza alcuna informazione tecnica.
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Soprattutto, una volta conclusa la battaglia, non venivano riportati a casa, dovevano arrangiarsi coi loro mezzi per riuscire a ritornare indietro».
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«In particolare la battaglia di Waterloo si svolse all'inizio dell'inverno per cui fu particolarmente difficile per loro rientrare. I documenti storici dimostrano che nei fatti di Peterloo, a quel comizio avevano partecipato moltissimi veterani della battaglia di Waterloo ed uno in particolare, era rimasto ferito negli scontri con la guardia nazionale e con gli Ussari ed era morto due settimane dopo. Tanto che era iniziata un'indagine su quella morte che poi si era arrestata man mano che la realtà su quei fatti è venuta a galla».
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«Quando poi io ho creato questa famiglia fittizia, personaggi di fantasia rispetto a tante altre riproduzioni di realtà storiche di persone realmente vissute, mi è sembrato naturale chiudere il cerchio in questo modo. Joseph è l'emblema e l'esponente di quel tipo di classe. Sono le vittime sacrificali in tutto e per tutto. Sono coloro che non hanno mai avuto una voce, goduto di alcun diritto. Sono state le vittime delle leggi sul grano, che appunto impedivano le importazioni del grano straniero a basso costo, impedendo alla gente di permettersi di compare il pane.»
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bLe sue storie si ambientano in uno specifico contesto storico e sociale ma poi hanno il potere di elevarsi a storie universali. Crede che il cinema possa ancora cambiare le idee delle persone?/b
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«La risposta è sì. Sicuramente il cinema continuerà ad avere questo potere. Il cinema avrà fine quando la vita avrà fine. Riguardo alla domanda fino a quando esisterà l'essere umano. Durante il tempo la nostra intervista sono nati decine e decine di neonati nel mondo e le nostre risorse non stanno aumentando, né la terra si sta allargando».
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«Avvenimenti tragici costringono le persone a spostarsi e il numero dei rifugiati aumenta mentre noi parallelamente distruggiamo pianeta e risorse naturali. E' difficile essere ottimisti oggi, eppure ogni bambino che è nato rappresenta un fagottino di ottimismo, perchè ci auguriamo per lui una bella vita, una vita di soddisfazioni. Ma questa è la tensione costante che viviamo fra ottimismo e pessimismo.
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Voi siete tutti molto più giovani di me eppure nella vostra vita avete visto cambiamenti, talvolta sono stati per il meglio, altre volte ci hanno fatto rimpiangere il passato. Tutto questo si chiama progresso».
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