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Hardcore! Day: il dialogo fra cinema e videogiochi

22/10/2016 22:42

Roberto Semprebene

Approfondimento Film, Speciale Videogiochi,

Hardcore! Day: il dialogo fra cinema e videogiochi

Resoconto della tavola rotonda presso il Vigamus di Roma

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L'uscita di Hardcore! nelle sale ha generato un fitto dibattito su un film il cui valore trascende l’aspetto puramente cinematografico e si pone su un piano più genericamente culturale, tributando un omaggio su grande schermo al videogioco. Il 2 aprile, presso il Vigamus di Roma, si è tenuta una prima tavola rotonda con il prof. Fabrizio Natalini, docente di storia del cinema; Marco Lucio Papaleo, caporedattore cinema di Everyeye.it e Marcello Paolillo di Gamesvillage.it, moderati dal padrone di casa Marco Accordi Rickards. Ovviamente il primo aspetto evidenziato, del quale si è chiesto conto al prof. Natalini, è la prospettiva in soggettiva con la quale il film è stato girato. Da confesso profano del mondo dei videogiochi, il professore ha affrontato il tema da un punto di vista storico, riconoscendo come in realtà tale soluzione non sia innovativa in sé – già negli anni ’40 in effetti si ricordano esperimenti sul tema – ma che trova una sua ragion d’essere nel film come parte di una sorta di manifesto culturale della generazione Y, cosi com’è al tempo Lola corre lo era stato della generazione X. Marcello Paolillo prosegue il discorso riconoscendo a Hardcore! la capacità di trasporre sul grande schermo il feeling dei grandi sparatutto videoludici, insieme a quello proprio dei grandi film d’azione degli anni ’80, recuperandone anche una durata – quella di 1h e 30’ – troppo spesso superata nelle moderne produzioni cinematografiche di genere. Un interrogativo emerso è quello del valore artistico attribuibile a un prodotto così strutturato, inserito nel genere action ma forte di una reale carica innovativa, pur non avendo lo stile e i contenuti di quelli che sono riconosciuti come film in grado di rivoluzionare il cinema. Accordi Rickards ha sottolineato infine come Hardcore! rappresenti una sorta di vittoria per il videogioco: per tanto tempo il rapporto, seppure stretto, fra i due media è stato sbilanciato a sfavore della dimensione videoludica, che a fronte di tanti adattamenti non aveva mai trovato un film che fosse concretamente in grado di portarne su grande schermo il “gusto”: i tanti adattamenti falliti, nel riprendere i concept dei videogiochi di riferimento, perdevano immancabilmente l’anima. In Hardcore! esiste una nuova prospettiva che si focalizza sulle possibilità espressive che la realtà virtuale metterà in campo rispetto a entrambi i media e alla fusion dei due.


Concetti simili sono stati espressi dallo stesso Rickards in una seconda occasione di confronto, tenutasi stavolta presso il cinema Adriano, dove a intervenire sono stati anche Francesco Alò, giornalista e critico cinematografico; Max Giovagnoli, transmedia producer e scrittore e il videomaker Matteo Corradini. Da questa conversazione sono emerse ulteriori riflessioni sull’argomento: dall’evoluzione del concetto di soggettiva da Robocop a Hardcore!, passando per il rapporto tra immagini e suoni nel film; il ritmo serrato e il rapporto con la musica, molto rilevante per un neo-regista come Ilya Naishuller, che è anche frontman di una punk rock band. Corradini auspica inoltre, dopo Hardcore!, di vedere adattate per il cinema opere videoludiche narrativamente più complesse, come Chrono Trigger. Il film e la sua carica innovativa, dunque, non hanno certo lasciato indifferenti e, indubbiamente, l’esperimento condotto da Naishuller offre nuove possibilità stilistiche al cinema, seppur portate a un estremo che mal si presta, probabilmente, a farsi capostipite di un nuovo canone.


Il rapporto fra cinema e videogiochi è sempre stato stretto e nel tempo è andato consolidandosi, anche e soprattutto in ragione di una serie di tecnologie condivise fra i due media (pensiamo ad esempio all’animazione 3D) e a una maturazione del medium videoludico che ha creato le proprie forme espressive specifiche, dopo averne mutuate molte proprio dalla Settima Arte. Un’osservazione che in questa circostanza appare particolarmente stimolante è relativa proprio all’uso della soggettiva “videoludica” in Hardcore!: legata al paradosso della soggettiva nei videogiochi... che non è una soggettiva! A dispetto del fatto che siamo abituati a ritenerla tale, la soggettiva videoludica è la simulazione di una soggettiva cinematografica, non di una soggettiva umana. Un esempio per tutti: durante la corsa gli occhi non colgono l'effetto del movimento perché il cervello mette automaticamente a fuoco cancellando il "rollio"; del resto che il problema della chinetosi si ha nella vita di tutti i giorni solo in condizioni che estremizzano l’effetto movimento e generalmente in soggetti predisposti. Il videogioco è stato talmente convinto che il cinema e le sue modalità fossero "superiori" – o forse semplicemente le uniche utilizzabili per un medium audiovisivo – che nel proporre una soggettiva ha cercato un effetto di realtà, inserendo i problemi di una macchina da presa da spalla anziché simulare direttamente il funzionamento dell'occhio umano. Diverso sarà il cammino della realtà virtuale, che nasce apparentemente con uno statuto riconosciuto; una sanzione di valore scientifico si direbbe, che le permette di non subire pressioni da media pre-esistenti: si tratta di un nuovo livello e tutti lo riconoscono. Ciò detto resta il discorso della distanza incolmabile che separa i due media: per quante contaminazioni sia possibile apportare, la presenza dell’interattività nel videogioco lo renderà sempre altro rispetto alla mera narrazione che il cinema porta avanti. Che si utilizzino le modalità espressive dell’uno nel realizzare un prodotto riferibile all’altro è un bene – fa parte del concetto di convergenza mediale e culturale e alimenta la creatività di entrambi gli ecosistemi – ma l’operazione funziona soprattutto, se non esclusivamente, quando nell’adottare una modalità espressiva il medium di destinazione la fa propria. Succede ad esempio in Speed Racer dei fratelli Wachowsky, quando la ghost car diventa meccanismo di confronto col passato in termini di flashback o anche nel recente Grimsby di Sasha Baron Cohen, in cui la stessa soggettiva di Hardcore! è utilizzata per riferirsi all’azione di uno specifico personaggio. Sono cifre stilistiche e rimandi culturali che si devono integrare in un linguaggio in continua evoluzione sì, ma dotato di una grammatica di riferimento che resta tale.


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