Alzi la mano chi, più o meno romantico, complice anche l'imbarazzante errore di Warren Beatty alla consegna dell'Oscar al Miglior Film, non si era illuso che La La Land potesse conquistare, insieme al più che meritato Oscar alla regia, anche il titolo di Best Picture.
Qualcuno, a caldo, dopo la cerimonia del 26 febbraio ha scritto «Se non fosse stato per il nuovo Presidente e per l'atmosfera che si respira negli States, avrebbe vinto il film più bello e non il più importante». Ma il Presidente c'è e si fa sentire, e con lui anche la linea di tendenza che ha catturato Hollywood negli ultimi anni. E che non se andrà molto facilmente.
Premiare i film che hanno detto le cose più urgenti, e che le hanno dette meglio, è stata l'intenzione che ha guidato prima le nomination e poi le premiazioni di questi Academy Awards 2017. Ancor più che l'omaggio di Damien Chazelle al cinema e alle sue favole – beffa finale a parte – si è deciso di favorire le opere che più di altre trasmettono l'eco di una passata stagione cinematografica all'insegna del politicamente corretto e di un messaggio sociale che proclama l'esistenza di un cinema black&rich, che ha appena iniziato a influenzare il sistema produttivo.
È lontano il 1940, epoca in cui Hattie McDaniel, la Mami di Via col Vento, era la prima donna di colore a vincere un Oscar. Quest'anno, tra temi e attori, i premi assegnati a film di argomento dichiaratamente black sono quattro:
- Miglior film, Moonlight;
- Miglior sceneggiatura non originale Barry Jenkins e Tarell Alvin McCraney, (Moonlight);
- Migliore attore non protagonista Mahershala Ali (Moonlight), primo musulmano a vincere un Oscar;
- Migliore attrice non protagonista Viola Davis (Barriere di Denzel Washington), l'attrice afroamericana più volte candidata agli Oscar.
A questi si aggiunge il premio per il Miglior Documentario a O.J.: Made in America, sul caso O.J. Simpson, celebre giocatore afroamericano di football accusato nel 1994 dell'omicidio dell'ex moglie e del suo amante; Miglior cortometraggio documentario a Caschi bianchi, sulla Difesa Civile Siriana; e il premio al Miglior Film Straniero a Il cliente di Asghar Farhadi, che ha disertato la cerimonia come protesta al muslim ban del Presidente Trump.
Sono tempi strani, è vero. E se la lettera di Farhadi ha vagamente ricordato quella di Marlon Brando nel 1973, in difesa degli Indiani d'America, l'andare e venire sul palco del Dolby Theatre di attori, registi e sceneggiatori afroamericani ha per la prima volta manifestato l'esistenza di una vera élite nera che in qualche modo determina il gusto dei film che arrivano agli Oscar e le conseguenti premiazioni.
L'anno scorso la polemica #OscarSoWhite, in cui attori e registi black (tra loro Will Smith e Spike Lee) minacciavano di disertare la premiazione degli 88esimi Academy Award, perchè giudicati troppo bianchi, ha acceso la competizione. Quest'anno il problema non si pone. Nel 2016 Will Smith dichiarava: «Le nomination riflettono l’Academy, l’Academy riflette l’industria, l'industria riflette Hollywood e Hollywood... riflette l’America. C’è una corsa regressiva verso il separatismo, la disarmonia razziale e religiosa, e non è la Hollywood in cui voglio vivere, non è l’industria e l’America in cui voglio vivere». A quanto pare produttori, registi e autori si sono mobilitati.
Eppure, sinceramente, chi può dire di non essere preoccupato per l'industria, per Hollywood e per l'America? Forse proprio alla luce dei tempi incerti, i più sognatori avrebbero voluto che questo fosse l'anno di La La Land, un film sui desideri che diventano realtà, un film omaggio a Los Angeles, City of Stars per eccellenza. Ma così come il 2016 non è stato l'anno di Arrival, unica fantascienza in concorso (si sa, per apprezzare la fantascienza ci vuole ottimismo) né di Jackie (argomento first lady da escludere), non era neanche l'anno delle stelle. Bisognerà accontentarsi dell'astro nascente di Damien Chazelle. E invitare il pubblico, per quanto scettico, a vedere Moonlight: un film che, evidentemente, nel 2017 è ancora necessario.