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Da Kenneth Branagh a Sam Raimi: quando il remake diventa poetica

13/03/2018 20:01

Federica Cremonini

Approfondimento Film,

Adattamenti letterari e rifacimenti cinematografici: ci sono storie che appassionano il cinema, più e più volte

Non è raro imbattersi, soprattutto negli ultimi anni, a casi in cui la struttura pura del remake si è ibridata a quella del reboot e dell'adattamento: come nel caso dell'Assassinio sull'Orient Express di Kenneth Branagh, che conserva il look dei personaggi di Sidney Lumet ma evita di modificare la narrazione e rimane fedele ad Agatha Christie.


O come nel caso del recente {a href=https://www.silenzioinsala.com/film/?i=4096'}It{/a} di Andy Muschietti e dello stesso prequel di La Cosa, di Matthijs van Heijningen Jr. (sul labilissimo confine fra prequel-reboot e remake, nel 2011): qui la regia e la direzione degli attori ricalcano alcune sequenze iconiche e il "look" di personaggi, ormai entrati a pieno diritto nell'immaginario collettivo (a tal punto che diviene impossibile separarsi da una loro configurazione mentale che si è ormai stabilita), vengono fusi a nuove idee {a href=https://www.silenzioinsala.com/articoli/1894/assassinio-sullorient-express-e-gli-altri-quando-lomicidio-letterario-ispira-il-cinema} tratte dalla forma basica del romanzo di origine{/a} e rielaborate dai nuovi registi e autori.


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Il rifacimento può, in pratica, trarre linfa tanto da vecchie forme appartenenti allo stesso formato (vale a dire film preesistenti che furono a loro volta adattamenti, come nel caso dell'opera di Kenneth Branagh) quanto da sfumature e nuove aggiunte ispirate direttamente al romanzo di partenza. Nuove versioni di queste opere già conosciute possono, in tal modo, discostarsi dalle proprie radici a seconda del target di pubblico cui mirano e arricchire il fanbase di quell'universo filmico o perderne parte a seconda della buona riuscita dell'operazione.


Come se non fosse già abbastanza ingegnoso, l'industria di Hollywood ha saputo espandere l'universo di film "già visti" instradando diversi rifacimenti verso franchise del tutto nuovi, tramite la produzione e la realizzazione di sequel (e prequel) che arricchiscono e amplificano un'opera di base che poteva ritenersi assoluta e ultimata già nel suo "prototipo", la prima variante.


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La Casa 2 di Sam Raimi non è che, in fondo, quasi un remake del suo primo capitolo, La Casa, in cui avevamo visto morire Bruce Campbell e tutti gli altri personaggi. La storia era compiuta, finita, ma nel secondo capitolo incontriamo lo stesso protagonista che si avvia verso la stessa dimora indemoniata, come se non conoscesse il suo destino.


Sam Raimi coglie il successo del primo film per realizzarlo da capo, ma con nuovo budget e idee ancora più efficaci, affibbiandogli un nome diverso. Coglie anche il pretesto perfetto per avviare la sua saga verso un terzo capitolo, attraverso il cliffhanger del secondo episodio, assente nel primo. Allarga ancor più l'albero genealogico della propria opera e arriva a produrre, nel 2013, un reboot ufficiale de La Casa, che viene diretto dal suo pupillo Fede Alvarez.


Sci-fi e horror sono i generi più "geneticamente" predisposti all'operazione remake-reboot per il perenne e incessante aggiornamento dell'estetica del genere anno dopo anno: dall'avvento del digitale, che ha scisso la filmografia fantascientifica e orrorifica in due epoche profondamente differenti, al perfezionamento della CGI che progressivamente sostituisce l'effetto artigianale, nonostante qualche incursione, di tanto in tanto, per pochi appassionati (fra i quali Alvarez stesso, che per il reboot de La Casa opta per l'assenza di CGI).


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Aldilà del genere, a ogni modo, se a tramutarsi e sostituirsi sono ambientazioni, atmosfere, toni e caratteri, background e persone stesse, ciò che si ripresenta sistematicamente è lo scheletro di un racconto: l'arte dello storytelling è, pertanto, ciò che permette la sopravvivenza di un'opera, attraverso il suo rimaneggiamento e il suo rinnovamento, nel corso dei tempi e delle epoche.


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