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«Vorrei raccontare storie oneste... e rischiose»: intervista a Ana Asensio, regista di Most Beautiful Island

24/07/2018 13:06

Andrea Desideri

Intervista,

Ana Asensio esordisce alla regia con Most Beautiful Island, un film che parla di emarginazione, sfruttamento, opportunità e nuovi inizi

Ana Asensio, dopo una carriera consolidata da attrice, per il suo esordio come regista attinge dal proprio vissuto. Lei, emigrata dalla Spagna agli Stati Uniti per scelta, finisce a parlare della linea sottile fra sfruttamento e integrazione sociale.


Most beautiful island racconta un viaggio. Quello che compie chiunque si trasferisca in una città straniera - tra aspettative, incertezze e sotterfugi - con una valigia colma di speranza, che deve fare posto a compromessi non sempre facili da accettare. In una terra in cui tutto sembra essere a portata di mano, in una Grande Mela che cattura e risucchia, Most beautiful island racconta l’emancipazione di una donna.


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Abbiamo intervistato Ana Asensio, per farci raccontare i retroscena e le curiosità della sua opera prima. E per sapere qual è oggi, secondo lei, il vero volto degli Stati Uniti.


bNel tuo film distruggi il mito di New York e degli Stati Uniti come “Terra delle opportunità”. Ritieni che sia ancora forte la disparità fra classi sociali? I più svantaggiati sono destinati all’emarginazione?/b


Credo che grazie ai social media e al fatto che le persone di tutto il mondo registrino con i loro telefoni quello che succede intorno, condividendolo, quel mito non esista più. Ma sono lieta di contribuire al dibattito su quali siano esattamente queste "opportunità" in "questa terra". L'ampio divario tra classi sociali, sfortunatamente, lo vedo crescere man mano che il capitalismo si appropria dell'empatia sociale. Non è in discussione, a mio parere, che la mancanza di denaro sia oggi la prima causa di emarginazione.


bLa protagonista del tuo film rivive, in qualche maniera, quello che hai sperimentato tu stessa in passato. Qual è stata la situazione più difficile in cui ti sei trovata, arrivando da fuori e dovendo cercarti qualcosa da fare?/b


È una domanda difficile, ma è importante specificare una cosa: io sono emigrata per scelta, non per necessità. È una differenza importante, che serve fare in rispetto di tutte le storie drammatiche di immigrazione. Nel mio caso, i primi mesi a New York sono stati i più duri: non sapevo la lingua e questo mi provocava ansia al punto da avere attacchi di panico per strada.


bQuesto atteggiamento americano di riluttanza, quasi di ribrezzo, nei confronti di chi arriva da altri paesi secondo te è figlio dell’attuale politica di Trump oppure è una tendenza che c’è sempre stata?/b


Da quando ho memoria, non ricordo un simile radicalismo contro gli immigrati. Le misure di Trump sono crudeli e le ripercussioni devastanti.


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bLuciana, nel film, arriva a far qualcosa di estremo pur di sopravvivere. Da attrice c’è qualcosa di particolare che hai fatto in passato e che oggi non rifaresti?/b


Mi pento di avere interpretato ruoli, anni fa, che mostravano le donne in modo denigratorio, senza un messaggio alle spalle. Non accetterei quelle parti oggi.


bVeniamo al tuo esordio da regista: ti sei affidata a qualcosa che ti era, per certi versi, familiare. Nella tua prossima opera cosa vorresti raccontare?/b


Vorrei raccontare storie che siano oneste… e rischiose al tempo stesso.


bHai avuto difficoltà, pur avendo un background da attrice, a mettere insieme un progetto cinematografico tutto tuo?/b


Ci sono state tantissime difficoltà! La prima è stata convincere la gente a credere nella mia visione.


bCom’è stato auto-dirigerti? Sei molto severa con te stessa?/b


Dirigere me stessa è stato imbarazzante ma semplice, in qualche modo. Da quando ho scritto la storia, ci ho convissuto per molti anni fino a quando non sono stata in grado di girare il film. Ho vissuto a lungo quel personaggio nella mia testa e, quando finalmente è arrivato il giorno in cui ero davanti e dietro la macchina da presa, mi sono fidata del mio istinto e non ho pensato troppo.


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bNel film ci sono molti primi piani: è uno stile di regia che ti piace particolarmente o l’hai scelto appositamente per questo film?/b


In realtà non sono una grande fan dei primi piani, ma ho realizzato che per raccontare questa storia ne avevo bisogno. I dialoghi sono ridotti al minimo e tenere la macchina da presa molto vicina ai volti ha reso possibile raccontare tutto il “non detto”.


bQuali sono le tue ispirazioni, da regista e da attrice?/b


Ammiro molti registi, ma diciamo che i miei preferiti sono Kiewslovki, John Cassavettes, i Dardenne, Andrea Arnold, Asghar Farhadi, David Lynch. Come attrice adoro Juliette Binoche: la trovo ispirante in ogni ruolo che interpreta.


bIl tuo film parla di dignità femminile nel mondo del lavoro e non solo. Cosa pensi di quello che sta accadendo alle donne nel mondo del cinema, specialmente dopo il caso Weinstein?/b


La consapevolezza e il sostegno pubblico alle donne che prendono l'iniziativa, parlano e condividono le loro esperienze traumatiche sta aiutando tutte a diventare più forti, più unite. Le generazioni più giovani non tollereranno situazioni denigratorie come quelle che abbiamo sofferto per molto tempo e non avranno paura di parlare e rivendicare i loro diritti.


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