Chernobyl è come un incontro di box. Cinque puntate paragonabili a cinque round, dove la HBO (campione in carica su cui grava ancora il KO tecnico ricevuto dalla stagione finale de Il trono di spade) è assetata di rivalsa verso gli spettatori. Ogni episodio è aggressivo e non risparmia nemmeno un cazzotto, anzi... ogni ripresa termina con lo spettatore sfatto, stremato, bramoso di proseguire nella visione/incontro, eppure al contempo prosciugato.
Chernobyl è una serie che ti atterra per i toni disperati, che ti colpisce con i suoi personaggi senza speranza e la situazione fuori controllo, che non lesina sulla drammaticità della vicenda, bensì ne rincara continuamente la dose.
Una tragedia recente
Sono passati appena 33 anni, ma la vicenda ci appare lontana… quasi dimenticata. Ed è per questo che picchia così duro. Per farci ricordare. Per farci aprire gli occhi su argomenti come sicurezza, negligenza, salvaguardia ambientale e sulla distruzione del pianeta da parte del parassita uomo. Un argomento sempre più attuale al cinema, da Godzilla 2 agli Avengers. Chernobyl è il grido disperato di un campione ormai allo stremo delle forze; è Rocky Balboa che contorce la bocca gridando Adriana. È l’ennesimo monito a un’umanità che si sta spingendo da sola sempre più verso l’orlo del baratro. Un ammonimento che la stupidità umana non sempre riesce a comprendere.
Già perché la reazione immediata alla serie non è stata di lutto, cordoglio o riflessione, ma si è trasformata in una corsa a scattarsi selfie usando la desolazione di Pryp'jat' come sfondo. I dati parlano del +40% di prenotazioni dei tour guidati sui luoghi della tragedia. E se da una parte l’incremento del turismo è un dato positivo, dall’altro è scoraggiante vedere come i social siano stati infestati da foto di sedicenti influencer davvero poco rispettose, al punto che anche lo stesso autore della serie, Craig Mazin, è intervenuto.
«È bellissimo che la serie abbia ispirato un’ondata di turismo» ha twittato sul suo profilo lo scorso 12 Giugno. «Ma ho visto le foto e... se visitate, per cortesia ricordatevi che una terribile tragedia è accaduta proprio lì. Comportatevi con rispetto di tutti coloro che hanno sofferto e che si sono sacrificati». Purtroppo non è la prima volta che ciò accade, basti pensare che una manciata di mesi fa (era il 20 marzo) sempre via Twitter, l’account dell’Aushwitz Memorial scriveva: «Ricordatevi che in questo posto un milione di persone sono state uccise. Ci sono luoghi migliori per imparare a camminare in equilibrio rispetto a quello che simboleggia la deportazione di centinaia di migliaia di persone verso la loro morte».
Prendi solo ricordi, lascia solo impronte
Questa frase (oltre a essere molto poetica) è il mantra dell’urbex, un fenomeno che sta dilagando negli ultimi anni. Letteralmente è l’abbreviazione di Urban Exploration, ovvero esplorazione urbana: consiste nel trovare, visitare ed esplorare luoghi remoti e abbandonati, per riscoprirne il valore architettonico, artistico e talvolta persino culturale.
Ville, castelli, interi paesi (uno dei più famosi è Consonno, la Las Vegas tricolore in provincia di Lecco): qualche volta in questi luoghi il tempo pare essersi cristallizzato; altre volte è andato troppo oltre e la natura ha preso il sopravvento. Quando questi luoghi vengono espugnati dalle masse, l’uomo vandalizza, ruba, rompe; i muri vengono riempiti di scritte e disegni, che non ne intaccano (non sempre almeno) il fascino, ma ne modificano la percezione, trasformando l’esplorazione in qualcos’altro. Qualcosa di “spurio”.
Una pratica quella dell’urbex che, va ricordato, è al limite della legalità, dato che moltissimi di questi luoghi, sebbene abbandonati, sono comunque considerati dal punto di vista giuridico proprietà private. L’Italia è piena di questi silenziosi testimoni del nostro passato. Nel nostro paese abbondano chiese abbandonate, manicomi e sanatori (svuotati in seguito alla legge Basaglia del 1978 e solo in minima parte adattati in strutture sanitarie differenti), colonie (simbolo degli anni del boom economico e poi, mano a mano, dismesse) sparse soprattutto lungo il litorale adriatico.
Il loro crescente stato d’abbandono è anche lo specchio del nostro declino socio-culturale. Un esempio su tutti è il borgo abbandonato di Leri Cavour, nel vercellese. Il suo valore storico è immenso: immerso tra le risaie piemontesi, nel XIX secolo divenne un possedimento di Napoleone Bonaparte prima di essere venduto al cognato, il quale nel 1822 lo cedette al marchese Michele Benso di Cavour, padre di Camillo Benso, che trasformò la tenuta in un’azienda agricola all'avanguardia. Lo statista, una delle figure chiave della nostra unità nazionale, nacque qui e anche durante tutta la sua età adulta, nonostante i numerosi impegni politici, appena gli era possibile tornava in quelle terre. Ora questo pezzo di storia d’Italia giace in completo stato d’abbandono, facilmente visitabile per i più curiosi, ma lasciato allo sfacelo quando potrebbe essere un polo turistico della regione.
Il tempo congelato
La fotografia è alla base dell’urbex. Attraverso uno scatto (che sia fatto da un professionista con una reflex o da un ragazzino con un cellulare) questi luoghi rivivono, assumendo un fascino di volta in volta diverso, diventando luoghi da sogno o da incubo, a seconda della luce, delle inquadrature, della post-produzione.
Basti pensare che persino Dario Argento ha girato alcune scene de La Terza Madre all’interno della Villa dell’Oracolo, una delle mete urbex più famose, piena di affreschi e dipinti in tutto il loro decadente splendore. Visitare tali luoghi presuppone, da parte di chi esplora, la consapevolezza di ciò che sta facendo. Si sta mettendo piede in un luogo appartenuto a qualcuno, vissuto da qualcuno. Stiamo entrando in casa sua senza chiedere il permesso e, anche se il proprietario non c’è, va rispettato.
Violare certi luoghi vuol dire entrare in contatto con l’immobilità del tempo, un concetto quasi sacrale, che viene amplificato se il luogo in questione è stato lo sfondo di una tragedia umana. Per anni Pryp'jat' è stata una delle mete urbex più affascinanti e ambite: sarebbe un peccato che ora il suo valore storico (perchè di questo si tratta) venisse sminuito a causa della “cattiva interpretazione” da parte di una determinata fascia di pubblico di una serie tv (tra l’altro bellissima) il cui messaggio era di denuncia, cioè l’esatto opposto.