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The Young Pope (2016), stagione 1: la recensione della serie Sky Original di Paolo Sorrentino

14/03/2017 11:00

Valentina Pettinato

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The Young Pope (2016), stagione 1: la recensione della serie Sky Original di Paolo Sorrentino

Lenny Belardo (Jude Law) è un ragazzo giovane, bellissimo e arrogante...

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Lenny Belardo (Jude Law) è un ragazzo giovane, bellissimo e arrogante. Beve cherry coca zero e fuma sigarette; è ironico e brillante, ma anche colto e raffinato: irresistibile per il genere femminile. Peccato che non ci si possa fare un pensierino, visto che Lenny è il nuovo pontefice: Pio XIII, primo Papa americano della storia. Un Papa che crea da subito scompiglio in Vaticano, non solo tra i suoi collaboratori, ma anche alla moltitudine di fedeli speranzosi, che provoca con le battute del discorso di apertura del suo pontificato. Diffidente e pronto a liberarsi di ogni oppositore, Danny chiede la vicinanza di un’unica persona, Suor Mary (interpretata da una meravigliosa Diane Keaton), la donna che lo ha cresciuto e iniziato alla fede cristiana. Ma la scelta di avere come consigliere personale una donna spiazza non poco il conclave, in particolare il Cardinale Voiello (Silvio Orlando), che punta invece a preservare lo status quo e il ruolo dell’Istituzione.


Dieci puntate che fanno registrare a Sky una cifra che supera il mezzo milione di ascolti. The Young Pope, la serie tv scritta e diretta da Paolo Sorrentino, presentata al Festival di Venezia, non solo conferma l’abilità e la capacità di affabulazione del suo ideatore, ma è stata - come non sempre accade - un vero successo. Prendete un personaggio scomodo, collocatelo in stanze di potere, avvolte da misteri, iconografie e simbolismi. Spogliate quell’uomo e tutti i personaggi che gli ruotano attorno di ogni elemento mistico, lasciateli uomini, immersi nella propria solitudine. Ecco la magia di The Young Pope, un lavoro di scrittura che usa il fascino discreto del Vaticano per parlare di devianze, di particolari irrilevanti, di uomini di potere impotenti davanti al mistero della vita.Tutta la serie ruota attorno a una figura decisamente rock. Impariamo a conoscerlo durante la prima puntata: Pio XIII è un uomo apparentemente ribelle, che scopriamo invece sorprendentemente conservatore, opposto a qualsiasi apertura rispetto all’ortodossia religiosa. Ma il soggetto è scritto da Paolo Sorrentino, quindi nulla è come sembra. Bastano infatti una manciata di episodi per vedere un protagonista nuovo: sempre più compassionevole, severo nel tutelare i più deboli, caparbio quando si tratta di sposare cause disperate, se in esse intravede anche una sola goccia d’amore. L’amore muove Belardo, nient’altro.


Il Papa giovane


Dopo i primi due episodi, infatti, inizia a delinearsi una nuova parabola narrativa. Lenny, pur mostrandosi come un papa sicuro, ferreo nelle proprie convinzioni, vendicativo verso gli oppositori, in realtà sembra sempre più il frutto di un disegno divino che ha dovuto accettare quasi passivamente, perché è il predestinato. Indifferente rispetto alle masse, incapace di gestire dubbi e di confortare fedeli dispersi. Ma - attenzione - non è delirio di onnipotenza: questa posizione, dura da accettare per fedeli sperduti e abituati a una figura spirituale presente, inizia a umanizzarsi seguendo gli episodi successivi. Lanny è un orfano e, pur volendo, non riesce a dar fiducia al prossimo. Il binomio divino-umano diventa così una netta pista narrativa che inizia ad accompagnare, mano a mano che la serie procede, tutti gli episodi, fino a quello conclusivo. Il giovane Papa sembra non aver bisogno di nessuno: di fedeli, di confidenti, di Suor Mary. Tutti i personaggi non sono altro che comprimari importantissimi per la narrazione: perché è attraverso racconti, prese di posizione, passeggiate nei giardini del Vaticano, che intravediamo una dimensione emotiva del protagonista, lontanissima dagli obblighi ecclesiali ai quali deve ottemperare.


La caratterizzazione del protagonista viene affidata da Sorrentino anche attraverso l’inserimento nel racconto di tematiche delicate: dall’omosessualità alla pedofilia nella Chiesa, affrontati dal quarto episodio. Senza scivolare in prese di posizioni criticabili, la scrittura di Paolo Sorrentino sovrasta tutto, abbraccia l’abbracciabile dall’alto, resta spettatrice di una lotta tra posizioni che appartiene agli uomini, non alla verità delle cose. All’inizio della stagione possiamo solo provare a intuire il trauma che ha forgiato la personalità di Lenny, ma sarà grazie ai personaggi e i temi delle successive puntate che l’autore riesce a riempire con un senso più forte le azioni del suo protagonista. Il passaggio attraverso il dolore dell’uomo è doveroso: sacerdoti alla deriva, donne in crisi per una gravidanza che non arriva. Attraverso la sofferenza il protagonista riesce a disegnare il suo profilo, perché unico linguaggio che conosce, e che gli permette di entrare in comunione con l’altro.


Dalla conversione all'episodio finale


Il quinto episodio è quello della conversione. Questo Papa non capito, abbandonato e temuto, che si rivela ai cardinali prima e poi al mondo stesso per quello che è: un bambino al quale non è mai stato permesso crescere e che ha dovuto portare sulle spalle una croce pesante proprio come il suo Cristo, prima di morire. Un bambino che aveva un dono, e per questo condannato a una vita che non ha potuto scegliere. Timoroso del mondo e immerso nel mondo, perché il suo corpo è consacrato a fare del bene agli altri. Quel corpo che Jude Law mette in scena in maniera esemplare, un passo lento, ritmato è il cuore della narrazione. La perfezione fisica contrapposta alla bruttura della menzogna umana. La purezza infantile e la vanità del potere. Tutti i contrasti del miglior Sorrentino trovano qui terreno fertile per far vibrare la sceneggiatura, e renderla brillante attraverso un meccanismo di montaggio ed estetica. Lenny è il corpo che si nasconde alle masse, per quanto proibito, è esattamente desiderato. Quel desiderio che seduce, come nei bellissimi carrelli delle inquadrature, dove strizzando l’occhio allo spettatore il Papa aspetta, assieme noi, la messa in scena della rivelazione finale. Gli episodi 7 e 8 sono quelli dedicati alla speranza: quella di Lenny, di incontrare i suoi genitori. Il Papa inizia un viaggio, non solo spirituale ma anche fisico e, per la prima volta accetta una missione pastorale e raggiunge delle comunità in Africa. Il viaggio sposta l’equilibrio narrativo, adesso non ruota tutto attorno al suo protagonista, ma è lui che si muove attorno ad altri elementi testuali. In questo movimento le cose, improvvisamente, sembrano conquistare il giusto ordine. E la giustizia, divina, finalmente scende lieta, ad aiutare i più deboli e a punire quelli come Suor Antonia (che si approfitta della povertà delle comunità africane). Lenny finalmente, accettando il movimento, recupera parte di sé. E in questo contribuisce all’armonia delle cose. Il giovane Papa è cresciuto: negli ultimi due episodi che chiudono questa splendida stagione inizia a farci capire che è pronto. Pronto a prendere decisioni, a fidarsi delle persone, a parlare ai suoi fedeli.


Paolo Sorrentino presenta una miniserie ambiziosa e incantevole a cominciare dalle prime inquadrature. La scena del bambino che gattona sopra una montagna di altri bambini, per poi uscire da questa moltitudine di corpicini adulto e papa, non si dimentica facilmente. Un racconto grandioso in cui i colori, le forme e le inquadrature si fanno grammatica di un discorso universale, sull’umano, i suoi limiti e le sue debolezze. Una serie moderna, arguta e spiazzante. Anche le scelte musicali e i dialoghi fanno intendere che Sorrentino non perde di vista nemmeno per un secondo il contemporaneo. Ma non solo. Non abbandona o rinnega nemmeno per un secondo se stesso, la sua ambizione, la sua autoreferenzialità (il Napoli, il calcio, la musica, le sue passioni, l’accostamento di sacro e profano, che tanto ama). C’è l’introspezione, il lavoro sui personaggi, la cura delle inquadrature, la perversione e la miseria umana, ma anche i soliti elementi barocchi che rendono il suo cinema un modo di fare cinema (cosa ci fa un canguro in Vaticano?). E non manca nemmeno la bellissima fotografia del suo fido Luca Bigazzi, che impreziosisce la serie con toni cupi e con illusioni ottiche, portandoci in una dimensione onirica dove la manipolazione schiaccia bei sogni e incubi svegliandoci senza fiato e col batticuore. Con The Young Pope lo spettatore ha avuto quasi tutto. Rumore e silenzio, corpi e assenze, alleati e antagonisti, capovolgimenti di ruoli. C’è tutto e il contrario di tutto. C’è bellezza visiva, citazionismo esasperato e ironico. Alcune scene rimarranno memorabili. Il suo ideatore è in ogni singola inquadratura, c’è in questa disperata ricerca di senso, che proprio per lui non ha senso. Minimo comune denominatore di tutti i suoi lavori, questi particolari irrilevanti che grondano di senso, trovano qui una loro spettacolarizzazione.


La prima stagione è finita e possiamo andare in pace. Resta solo un interrogativo: come sta il Papa oggi? Non ci resta che aspettare i nuovi episodi.


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