In un carcere filippino un gruppo di donne chiacchiera sotto un albero mentre una radio in sottofondo si mescola alle loro voci: siamo nel 1997 e la storia del Paese attraverserà tutto il film, restando però sempre chiusa tra parentesi.

Una donna di nome Horacia lascia il carcere dopo aver scontato trentanni per un delitto mai commesso; dietro l'accusa c'è Rodrigo Trinidad, suo ex compagno divenuto un pericoloso criminale. Provando a ricucire il suo passato Horacia si metterà così sulle tracce dei suoi familiari e dello stesso Rodrigo, incontrando sul suo cammino Hollanda, una trans malata di epilessia che si legherà a lei indissolubilmente.
Perfetto nel dosare il fiato sulla lunga distanza (sfiora le quattro ore), The woman who left procede con lentezza attraverso lunghe sequenze, nelle quali accade poco o niente. La poltrona in sala diventa così il tavolino di un caffè dal quale guardare la vita che scorre: un banale dialogo in strada, una donna che piange dentro una stanza, un animale che attraversa la strada.
Tirati gli spettatori dentro il suo mondo, il film lascia ai suoi personaggi il modo di farsi conoscere un po' alla volta: ecco allora il venditore ambulante che crede nei miracoli, l'emarginata Hollanda che cerca un riparo, il malvagio Rodrigo, figura “manzoniana” non solo nel nome. E naturalmente Horacia, che tra una favola e una canzone si procurerà una pistola... L'intreccio insomma c'è eccome, ma pare anch'esso tenuto fra quelle parentesi invisibili che contengono il film.

Conosce tutti i trucchi del mestiere Lav Diaz, sorta di one man troupe che scompare dietro la cinepresa e fa tutto da sé: regia, soggetto, sceneggiatura, musica, montaggio, fotografia.
Una fotografia esteticamente non troppo accattivante, un bianco e nero dove a predominare è il grigio, giorno o notte che sia. Inquadrature fisse sempre a distanza, che lavorano per sottrazione e chiedono anche allo spettatore di entrare in scena. Solo nell'ultima parte in spiaggia concederanno più spazio al puro cinema: la camera a spalla che si avvicina di più, gli “umori” con il chiaro di luna ed il temporale che sta arrivando, lo sfuocato sulla scena rivelatrice e infine l'unico vero vezzo, nell'ultima sequenza. The woman who left ha la magia del grande cinema d'oriente, in grado di crescere un po' alla volta, anche e soprattutto dopo che è finito. Autogestito e “amatoriale”, doloroso e disperato ma allo stesso tempo raccolto, come imploso. Un'opera curiosamente vicina al nostro Pasolini anche nel suo carattere così religioso (ispirata peraltro ad un racconto di Lev Tolstoj) e insieme corporeo. Leone d'oro a Venezia nel 2016.

Genere: drammatico
Titolo originale: Ang Babaeng Humayo
Paese/Anno: Filippine, 2016
Regia: Lav Diaz
Sceneggiatura: Lav Diaz
Fotografia: Lav Diaz
Montaggio: Lav Diaz
Interpreti: Charo Santos-Concio, Jean Judith Javier, John Lloyd Cruz, Kakai Bautista, Lao Rodriguez, Mae Paner, Marj Lorico, Mayen Estanero, Michael De Mesa
Produzione: Cinema One Originals, sine olivia pilipinas
Durata: 226'