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La maschera del demonio

20/10/2014 10:00

Riccardo Cotumaccio

Recensione Film,

La maschera del demonio

La maschera del demonio per Mario Bava rappresenta l’esordio alla regia, dopo aver completato - da direttore della fotografia - I vampiri di Riccardo Freda nel

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La maschera del demonio per Mario Bava rappresenta l’esordio alla regia, dopo aver completato - da direttore della fotografia - I vampiri di Riccardo Freda nel 1957. È il 1960 quando, prendendo spunto da Il Vij di Nikolaj Gogol, il regista di Sanremo sceglie un cast di tutta eccezione per la prima pellicola a sua firma. A partire da Barbara Steele, colei che tre anni più tardi (nel 1963) verrà diretta da Federico Fellini nell’indimenticabile 8½. Il film – girato in soli tre mesi – è tuttora considerato il lavoro più riuscito di Bava, trovando grandi consensi anche e soprattutto fuori dall’Italia (a partire dalla Francia e dagli Stati Uniti).


XVIII secolo, Moldavia. La strega Asa (Barbara Steele), catturata dall’Inquisizione, viene condannata a morte, marchiata a fuoco e uccisa, in compagnia del suo amante. A darle il colpo di grazia è la maschera del demonio, una copertura in ferro contenente al suo interno degli aculei in metallo, brutalmente inchiodata sul volto della donna. Due secoli dopo Andrej Gorobec (John Richardson) e Choma Kruvajan (Andrea Checchi), due medici russi, si imbattono nella tomba di famiglia, dove Asa è stata sepolta. Ne rinvengono il cadavere (perfettamente conservato, nonostante le torture subite) e lo riportano in vita. I due, all’oscuro del passato, devono fronteggiare la vendetta di Asa che, per tornare del tutto a vivere, deve impadronirsi del corpo di una sua giovane erede, la principessa Katia Vajda.


Per il primo ciak sul grande schermo, Bava ricorda – e ben sfrutta – la sua esperienza da direttore della fotografia, migliorando i mezzi tecnici anche rispetto al set de I vampiri. Il gotico e l’horror, accennati nel film di Freda, trovano ampia evoluzione nell’opera prima di Bava, più oscura e suggestiva. Il buio, l’atmosfera e gli effetti speciali iniziano a essere parte integrante della paura, non più provocata solo ed esclusivamente dalla trama. Nel 1960 il ritmo del film scorre ancora lento, presentando alcune irregolarità, eppure Bava non fa mancare il brivido. Il terrore c’è - aiutato dalla colonna sonora decisamente vintage, a cura di Les Baxter e Roberto Nicolosi – e il bianco e nero contribuisce, essenziale al fine di intrattenere quasi costantemente lo spettatore. Per capire quanto Bava si sia ispirato al lavoro operato sul precedente set di Freda basti confrontare le scene di invecchiamento applicate sul volto di Barbara Steele: la stessa tecnica è utilizzata, tramite l’uso di trucco esposto a un repentino cambio di luci, sui tratti somatici di Gianna Maria Canale, protagonista de I vampiri. L’abilità di Bava è quella di saper combinare regia, fotografia ed effetti speciali con incredibile armonia, dando un senso di completezza al suo lavoro. Del resto se è vero che dietro a un bravo regista debba esserci un ottimo fotografo, nel caso di Mario Bava - il maestro del film horror italiano – questa affermazione trova decisamente riscontro e unità.


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