Neil Armstrong mette piede sulla Luna il 21 luglio 1969. Un evento che segna la storia e decreta la fine della corsa allo spazio con la vittoria degli americani sui “comunisti russi”, ennesimo campo di battaglia della loro Guerra Fredda. Un obiettivo dichiarato apertamente nel 1961 dall’allora presidente John Fitzgerald Kennedy, il quale aveva promesso che «prima che finisca questo decennio, faremo atterrare l’uomo sulla Luna».
La verità è che gli USA stavano facendo una figuraccia. I sovietici, infatti, erano stati i primi a inviare nello spazio un satellite, degli animali e soprattutto il primo uomo: Yuri Gagarin, andato in orbita il 12 aprile 1961. La promessa di Kennedy viene fatta davanti al Congresso il 26 maggio dello stesso anno. Com’è possibile allora che gli americani abbiano portato per primi l’uomo sulla Luna, nonostante fossero in così netto svantaggio? Per molti la risposta è semplice: non l’hanno mai fatto. Conoscete la storia del finto allunaggio, diretto da Stanley Kubrick? Ve la raccontiamo noi. Prendetela come un omaggio a uno dei più grandi maestri del cinema.
Un piccolo passo per un uomo
Tutto inizia quando, messi alle strette, convinti che non sarebbero mai riusciti a mantenere la parola dell’ex-presidente ormai deceduto, gli USA iniziano a pensare a un piano alternativo: ingannare l’intero mondo con un finto allunaggio. Per girare le immagini del primo uomo sulla Luna, che sarebbero state trasmesse in mondovisione, serviva un maestro della messa in scena, un regista che non avesse eguali, che fosse maniacale nei dettagli. Così il governo degli Stati Uniti chiamò Stanley Kubrick.
I complottisti ritengono che il primo atto di questa farsa fu 2001: Odissea nello spazio, pietra angolare della fantascienza del secolo scorso. Fantascienza in senso stretto, con un livello di verosimiglianza altissimo: basti pensare alle scene in assenza di gravità, alle astronavi che si muovono nello spazio e…ai paesaggi lunari. Tenendo a mente che si tratta di un film girato nel 1968, in analogico, l’effetto è sconvolgente.
Secondo la teoria del finto allunaggio, 2001: Odissea nello spazio è una sorta di “prova generale” finanziata dalla NASA per testare la tecnologia necessaria a rendere credibile l’impresa di Armstrong e soci. Dopo il 21 luglio 1969, Kubrick seguita con la sua carriera, prima con quel capolavoro di violenza che è Arancia Meccanica, poi con il dramma in costume Barry Lyndon, ma i sensi di colpa seguitavano a tormentarlo. Non poteva parlare con nessuno di ciò che aveva fatto, ma tenere un segreto così grande lo stava facendo impazzire. Allora che fa? Gira una confessione. O meglio, annega la sua confessione in un film, rendendolo enigmatico, stratificato, a tratti ipnotico. E non c’era storia migliore di un uomo attanagliato da un abisso di follia per celare la propria metafora. Così, un decennio dopo aver falsificato al mondo la verità, Stanley Kubrick gira Shining.
…un grande passo per l’umanità
La produzione di Shining non è stata semplice, soprattutto a causa dei dissapori con Stephen King, il quale non gradisce i numerosi tradimenti alla sua opera. Secondo i complottisti, la maggior parte di tali tradimenti sono legati al fatto che il regista stesse forzando scene e parti della trama per inserire messaggi subliminali relativi al suo coinvolgimento nel falso allunaggio. Qualche esempio?
Per capirci qualcosa occorre partire dal presupposto che Jack Torrance sia Stanley Kubrick, mentre il figlio Danny un’incarnazione della sua anima artistica e sognatrice. Il manager dell’Overlook Hotel è il governo degli USA che ingaggia Kubrick. Non è un caso infatti che il manager assomigli a Kennedy, che sia vestito con completo blu, camicia bianca e cravatta rossa (i colori degli Stati Uniti), che sulla scrivania abbia una bandiera americana e che dietro di lui si possa scorgere la statuetta di un’aquila dalla testa bianca. Nel contesto essa rappresenta sia gli USA, sia la missione Apollo 11.
Quando l’Overlook viene isolato da una tempesta di neve, questa è metafora della Guerra Fredda, sfondo su cui si svolge la “corsa allo spazio” tra USA e URSS. Le inquietanti gemelle (che nel romanzo di King sono solo sorelle) che infestano i corridoi dell’hotel, altro non sono che un cenno storico alla NASA: Gemini (gemelli, appunto) era il programma spaziale che aveva preceduto Apollo.
Ma il vero fulcro della confessione è rappresentato dal momento in cui Danny entra nella stanza 237. All’inizio della scena il bimbo sta giocando sul pavimento. Il particolare motivo esagonale della moquette del corridoio ricorda la piattaforma (a forma di esagono) di lancio di Cape Canaveral. Inoltre Danny indossa un maglione con su ricamato un razzo con tanto di scritta Apollo 11, USA.
Danny si incammina, come ipnotizzato, lungo il corridoio, verso la stanza 237. Nel libro di King la camera è però la 217. Qual è il motivo di questo cambiamento, all’apparenza inutile? La distanza media tra Terra e Luna è di 384.400 km, che convertiti in miglia sono 238.857... ma anche così i conti non tornano. Essendo però il film di quasi quarant’anni fa, è possibile che la tecnologia non avesse una misurazione così accurata e che l’approssimazione fosse di 237.000 miglia. Troppo fantasioso? Va detto che Kubrick inquadra chiaramente il portachiavi appeso alla porta con la scritta ROOM N° 237, facilmente anagrammabile in MOON ROOM, la stanza della Luna, dove venne girato il falso allunaggio. In questa camera i protagonisti vedono solo sogni, illusioni e realtà fittizie.
Quando Danny esce dalla stanza, ha un livido viola attorno al collo e si rifiuta di parlare. Un’analogia del senso di soffocamento che opprime Kubrick, costretto a un mutismo che lo forza a mantenere il silenzio su ciò che ha fatto nella stanza della Luna.
Infine il lavoro di Jack come scrittore. In una delle scene cult del film, sua moglie Wendy trova una pila di fogli su cui è ossessivamente ripetuta All work and no play makes Jack a dull boy. Sulle macchine da scrivere la lettera l e il numero 1 sono scritte allo stesso modo “All” diventa così A 11, ovvero Apollo 11, e la frase si trasforma in Il lavoro sull’Apollo 11 rende Jack (quindi Kubrick) un ragazzo noioso.
La scena immediatamente successiva, quando Jack scopre che la moglie sta frugando le sue cose, è quasi autobiografica. Il suo sfogo «Ma ci hai mai pensato alle mie responsabilità? Hai mai pensato solo per un secondo da quando siamo qui alle mie responsabilità verso la direzione? I proprietari mi hanno messo in mano l'albergo e che hanno fiducia in me e che io ho sottoscritto una lettera, un impegno, ho un contratto col quale ho accettato di prendermi questa responsabilità» potrebbe essere una sfuriata dello stesso Kubrick nel momento in cui la moglie Christiane scoprì che stava lavorando al finto allunaggio per conto del Governo.
La stanza 237
Shining non è un film qualunque. Non lo è mai stato. Molti lo ritengono la summa del cinema di Stanley Kubrick, oltre che uno dei pilastri dell’horror moderno, in grado di conciliare cinema mainstream e d’autore, sovrapponendo numerosi piani di lettura e prestandosi a infinite interpretazioni. Così tante che hanno dato origine a un documentario, Room 237 di Rodney Ascher. La strampalata teoria che Shining sia in realtà la confessione di un complotto del governo è solo una delle numerose tesi che emergono nel documentario.
A conti fatti, forse, sono tutte fisime mentali di gente che ha visto troppe volte lo stesso film, però è affascinante vedere come tutte queste teorie, per quanto assurde, trovino a loro modo riscontro nella mente di chi i segni non solo sa coglierli, ma li cerca in maniera tanto insistente da arrivare a inventarli. Quel che è certo comunque è che Shining non è un semplice film, e tra i suoi fotogrammi nasconde davvero qualcosa in più, se non altro l’ossessione maniacale di un regista che è sempre stato fuori dagli schemi.