La tavola del faraone, che ogni notte regala la vita ai personaggi del Museo di Storia Naturale di New York, ha un problema: si sta ricoprendo di uno strano alone verde e le conseguenze non tardano a farsi sentire. Le statue animate, infatti, stanno diventando sempre più ingestibili e sembrano aver perso il lume della ragione. La soluzione è una sola: caricare la tavola su un aereo verso Londra, per raggiungere il faraone Merenkahdre (Ben Kingsley), che conosce ogni segreto del prezioso amuleto. Al viaggio, però, si aggiungono anche Teddy Roosevelt (Robin Williams), Jedediah (Owen Wilson), Octavius (Steve Coogan), Attila (Patrick Gallagher), l’indiana Shepseheret (Anjali Jay) e la dispettosa scimmietta Dexter. Scoperto al British Museum come risolvere il problema, però, il gruppo è obbligato a mettersi sulle tracce della tavoletta, rubata da Sir Lancillotto (Dan Stevens), che l’ha identificata come il Sacro Graal. Le difficoltà sono molte, cui si aggiunge anche il rapporto non sempre facile tra Larry (Ben Stiller) e il figlio, ormai cresciuto. L’ultimo capitolo della fortunata saga prodotta da Chris Columbus non delude i fan. Ideato come degna conclusione della favola ambientata nei musei americani, da New York a Washington, la storia si sposta stavolta oltreoceano coinvolgendo “gli abitanti” del British Museum in una corsa contro il tempo e contro la pericolosa muffa che logora la magica tavoletta di Ahkmenrah. Colpa del brand ma anche della contestuale scomparsa di due interpreti d’eccezione, Mickey Rooney e Robin Williams, Notte al museo 3: Il segreto del Faraone ha finito per suscitare nel pubblico eccessive aspettative, rivelandosi una pellicola non pronta e non concepita per avere tanto risalto. L’ultima puntata di una serialità ingenua e genuinamente divertente, che ripropone senza troppe ambizioni i personaggi conosciuti e amati nel corso dei lungometraggi precedenti. Da Ben Kingsley, nei panni del faraone Merenkahdre, a Hugh Jackman (che interpreta sé stesso e strizza l’occhio a Wolverine) e Dick Van Dyke, i cammei - imperdibili - sono numerosi e divertenti: una vera sfida a ricercare fra le tante maschere il proprio idolo. Nel caso di Mickey Rooney e Robin Williams (cui è dedicato uno struggente epitaffio alla fine del film) le due ultime apparizioni - all’origine, comiche - assumono un tono decisamente commovente. Il congedo di Teddy Roosevelt è probabilmente più di ogni altro aspetto ciò che fa di Notte al museo 3 una sorta di cult, nel suo genere. Nonostante non manchino sequenze riuscite e originali - come quella ambientata nella celebre litografia di M.C. Escher "Relativity", in cui i personaggi si inseguono su rampe di scale prive di senso e direzione - il film di Shawn Levy non risulta un’opera del tutto riuscita. La trama, invece di mostrarsi forte e compatta dei numerosi comprimari che danno vita a episodiche gag e situazioni comiche, manca del (solito) conflitto generato dalla lotta contro il tempo; l’intreccio, forse troppo intinto di buoni sentimenti, si scioglie presto nella redenzione dei “cattivi”, facendo del bellimbusto Lancillotto un’apparizione irrilevante. La sensazione è quella di una pellicola conclusiva che offre la possibilità al pubblico di salutare i propri beniamini attraverso sketch, seppure ben riusciti, che mancano però di un collante forte tra loro. Il risultato è altalenante: Notte al museo 3 compie l’obiettivo che si era posto, essere l’epilogo di una trilogia, ma rimane l’episodio più superficiale della saga.