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Diciottanni - Il mondo ai miei piedi

26/04/2011 11:00

Erika Di Giulio

Recensione Film,

Diciottanni - Il mondo ai miei piedi

Ludovico (Marco Rulli, Ti stramo) è un giovane diciottenne che ha bruciato le tappe...

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Ludovico (Marco Rulli, Ti stramo) è un giovane diciottenne che ha bruciato le tappe. Un’educazione sentimentale a suon di incontri sessuali mordi e fuggi. Bello sguardo, macchine e soldi. Due occhi grandi abbassati sul mondo. Un piatto e un letto sempre caldi dalla madre del suo migliore amico Luca (Marco Iannitello). Una professoressa di Lettere (Alessia Barela) che lo strapazza. Libri di scuola aperti e mai letti. Mai provato amore. Notti fuori, poco a casa. Un giovane per donne che non vogliono invecchiare e donne per un giovane già adulto, orfano cresciuto troppo in fretta per mano di uno zio cocainomane (G Max) che ha amministrato (male) le sue sostanze. Un giorno incontra Giulia (Elisabetta Rocchetti), sola, (in)dipendente, selvaggia proprio come lui e se ne innamora. Ma non sa che si tratta dell’amante storica dello zio Sandro.


L’esordio alla regia di Elisabetta Rocchetti (che cura anche soggetto e sceneggiatura del film) è segnato da un tratto spiccatamente femminile e autentico: sceglie di seguire il corso lineare e semplice della narrazione, privilegiando le evidenze degli stati d’animo che schizzano fuori con forza. La giovane regista ci risparmia i dettagli. Qualche scivolone sui luoghi comuni; inesperienza nella costruzione dei dialoghi e della sceneggiatura (e i personaggi restano d’improvviso abbandonati); Marco Rulli così così (avrà tutto il tempo di imparare), ma nella sostanza un ritratto discretamente approfondito. Nelle stanze svuotate e ridotte all’osso e negli appartamenti sempre troppo grandi in cui si muovono irrequiete, anime di uomini e donne annoiate e preda del distacco, si accumulano svogliati e delicati gli amplessi. Una compulsione nutrita dalla solitudine e dal senso di vuoto dilagante e presente un po’ in tutti i personaggi. Le donne di Elisabetta Rocchetti sono incomplete, abbandonate, mantenute, ma in fondo resistenti. La macchina da presa è incollata ai protagonisti. La grana della pellicola umanizza i volti e li avvicina. Nulla è perfettamente definito, tutto scivola via, senza interesse, senza forza. Bugie, inganni, buio affettivo. La miseria interiore. Poi l’amore (quello vero, per Giulia), la rottura (il tradimento ai danni dell’amico) e l’attesa catarsi. La rinascita nella normalità e nel bene che farà riscoprire a Ludovico il significato dell’amicizia e della giovinezza. Spiega la regista: “Con questo film, attraverso il personaggio di Ludovico ed i rapporti che il protagonista instaura con i suoi coetanei e con le donne, volevo gettare uno sguardo su alcuni comportamenti che mi sembrano il sintomo di un certo disorientamento e di una difficoltà nel rapporto tra generazioni, tipico della nostra società”. Un’opera sulla solitudine e sulla complessità emozionale.


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