Il capitolo più infame, violento, allucinante e controverso della saga. Dietro il progetto c’è Hideshi Hino, un mangaka che, attraverso le sue storie e i suoi disegni, si è fatto le ossa nel mondo estremo. La sua opera più famosa è Visione d’Inferno del 1984 (avrebbe dovuto essere il suo testamento artistico, ma così non è stato) in cui un pittore dipinge con il proprio sangue 13 quadri, ognuno dei quali approfondisce un aspetto della sua vita, segnata da abusi, violenze e soprattutto dalla bomba atomica.
Visione d’Inferno altro non è che una denuncia alle istituzioni che hanno abbandonato il Giappone dopo la fine della Seconda Guerra. Un messaggio politico non molto dissimile a quello celato in un altro degno esponente del Cinema Estremo, A serbian film.
Hideshi Hino prende spunto dalle sue tavole più splatter (diversi elementi sono ripresi proprio da Visione d’Inferno, come la “collezione” del samurai/pittore) e porta sullo schermo quello che è il capitolo più estremo della saga.
La trama è riassumibile in: un maniaco vestito da samurai fa letteralmente a pezzi una ragazza. Anzi, trasforma il suo corpo nel “fiore di sangue e carne” del titolo.
Ovviamente tutto ciò ci viene mostrato nei più minimi dettagli, con la telecamera che indugia su incisioni, dissezioni, smembramenti... e sugli occhi. Ancora, come nel primo capitolo, assistiamo a una scena finale in cui il samurai si accanisce sui bulbi oculari della vittima, come se fosse un marchio di fabbrica della saga di Guinea Pig (l’ossessione per gli occhi tornerà anche nei capitoli 4 e 5).
Inutile dire che il livello degli effetti speciali è altissimo ancora oggi, figuriamoci nel 1985. Talmente alto che nel 1991 l’attore Charlie Sheen (sì, proprio quello di Hot Shot e Wall Street) vide il film a una festa privata e pensò che si trattasse di un vero snuff movie. Ne era talmente convinto che contattò l’FBI, ma i federali lo informarono che sia loro, sia le autorità giapponesi avevano già appurato che si trattasse di una messa in scena. Già nel 1986 infatti la produzione aveva fatto circolare il documentario Meikingu obu Za ginipiggu, una sorta di making of dei primi due film, in cui vengono spiegati i retroscena della produzione e la realizzazione degli effetti speciali.
Spiace per l’abbaglio di Sheene, ma a onor del vero (e per essere pignoli) in un paio di scene si nota che la pelle incisa dal bisturi è fatta di una gomma un po’ troppo spessa e le dita troppo mollicce per essere di carne e ossa. E poi, prima del film c’è persino l’avvertenza che quella a cui stiamo per assistere è la ricostruzione di un efferato crimine, non il filmato del crimine stesso. Insomma, Charlie ha fatto una figuraccia.
Infine, questo film è stato ritrovato nella sterminata collezione di VHS del più famoso serial killer giapponese Tsutomu Miyazaki, insieme ad altri quattro capitoli della saga. La cosa che più mette i brividi però è il fatto che Flower of flesh and blood abbia alcune similitudini davvero inquietanti con i delitti commessi dal serial killer, al punto che la polizia arrivò a teorizzare che Miyazaki avesse tratto proprio da questo film l’“ispirazione” per i suoi efferati omicidi. Se sia la verità o una leggenda metropolitana, non lo sapremo mai.
Genere: estremo, horror
Titolo originale: Ginî piggu 2: Chiniku no hana
Paese, Anno: Giappone, 1985
Regia: Hideshi Hino
Sceneggiatura: Satoru Ogura, Hideshi Hino
Produzione: Sai Enterprise
Durata: 42'