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L’ultima luna di settembre (2023), la recensione del film d’esordio di Amarsalkhan Baljinnyam

22/09/2023 22:00

Rita Ricucci

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L’ultima luna di settembre (2023), la recensione del film d’esordio di Amarsalkhan Baljinnyam

Un film ch regala la possibilità di conoscere i colori e gli umori di un paese lontanissimo dalla cultura dell’Occidente: la Mongolia.

Sceneggiatore e attore di successo, Amarsalkhan Baljinnyam dirige un film che, nella sua drammaticità, regala la possibilità di conoscere i colori e gli umori di un paese lontanissimo dalla cultura dell’Occidente: la Mongolia.

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Tulga (lo stesso Baljinnyam) vive in città ormai da molti anni, quando riceve una telefonata da un conoscente del suo villaggio che lo informa delle condizioni del padre, orami prossimo alla fine. 

Dopo la sua morte e la commemorazione funebre, il villaggio è preoccupato di non poter finire il raccolto prima de L’ultima luna di settembre; questo compito spettava proprio al padre di Tulga che, come tutti gli abitanti del villaggio, nonostante l’età, prestava contributo alla comunità. Tulga, senza esitare, si offre di restare e portare a termine quanto aveva cominciato il padre. Nel silenzio dei suoi pensieri e del paesaggio, conosce il piccolo Tuntuulei (Tenuun-Erdene Garamkhand) con il quale instaura un’amicizia particolare fino all’affezione più sincera. 

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Amarsalkhan Baljinnyam mostra di conoscere la magia del movimento della macchina da presa così perfettamente che, alle prese con la sua prima regia, gira una sequenza iniziale la quale basterebbe per ricordarsi di lui. 

 

Nei primi minuti del film, la narrazione è affidata ai colori, al suono e a una carrellata verso il basso che presentano luogo e anima dei personaggi. Un cielo rosa, ancora intriso di tramonto, invade lo schermo. A tagliare l’orizzonte è una canna di bambù, non stabile; i trilli sono quelli di una chiamata telefonica in arriva, alla quale nessuno risponde.

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Quando la camera scende lenta verso il basso, seguendo la lunghezza della canna, scopriamo il mondo che aspetta di essere visto: quella canna funge da antenna in mezzo a un altopiano desertico dove non si vede neppure l’ombra di una casa. Un contadino è in piedi su un cavallo mentre la cerca di tenerla e tenersi in equilibrio. Un uomo dai solchi pesanti sul viso è moribondo su un carretto. Intorno il nulla. O meglio, il tutto della Mongolia.  

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Amarsalkhan Baljinnyam ci porta così in una dimensione altra dove lo spazio non ha limiti e il tempo è scandito ancora dalla luna e dal sole. 

 

La Mongolia che porta sullo schermo, nella sua intera bellezza, dai paesaggi ai costumi e alla yurta fatta di legno e feltro, affascina e ammalia lo spettatore. Non è da meno la maestria di Amarsalkhan Baljinnyam nel dirigere gli attori, primo tra tutti, il piccolo Tenuun-Erdene Garamkhand, che interpreta Tuntuulei, straordinariamente capace di commuovere già solo con il suo sguardo.

L’ultima luna di settembre ha tra le sue qualità, meravigliose panoramiche di un paesaggio atavico e incontaminato, anche il pregio di narrare una storia altrettanto ancestrale: figli che cercano padri.

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Il film di Amarsalkhan Baljinnyam si apre infatti in due dimensioni: la prima, quella di un padre in fin di vita che cerca il figlio per l’ultimo saluto; la seconda, di un uomo che deve decidere se diventare padre. 

 

Ecco perché il rapporto che nasce tra Tulga e Tuntuulei ci porta facilmente alla memoria di grandi classici a livello mondiale: al neorealismo di Sciuscià di De Sica, quando è Tuntuulei a far da balia a Tulga nella sua yurta perché disabituato a viverci; a Il Monello di Chaplin, quando Tulga e Tuntuulei si recano nel villaggio vicino per partecipare alla gara di lotta per bambini. 

Ma non manca neppure il tono fiabesco con i due personaggi autoctoni di falsi amici per il piccolo Tuntuulei che lo costringono a rubare bottiglie di alcol al nonno con il quale vive, come il Gatto e la Volpe nel celeberrimo libro di Collodi, ingannano Pinocchio per sottrargli i denari. 

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Ne L’ultima luna di settembre, Amarsalkhan Baljinnyam svuota la scena di suppellettili ingombranti e lascia spazi immensi di luce e colori, quelli del cielo e dei campi. I personaggi diventano luoghi di battaglie interiori e di sentimenti veri e tangibili, come quelli di Tulga e del piccolo Tuntuulei, che solo la natura e il tempo, possono accogliere e consolare. 


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Genere: drammatico

Paese, anno: Mongolia, 2022

Regia: Amarsaikhan Baljinnyam

Sceneggiatura: Amarsaikhan Baljinnyam, Bayarsaikhan Batsukh

Fotografia: Josua Fischer

Montaggio: Bayarsaikhan Batsukh

Musiche: Odbayar Battogtokh

Interpreti: Amarsaikhan Baljinnyam, Tenuun-Erdene Garamkhand, Damdin Sovd, Davaasamba Sharaw, Tserendarizav Dashnyam, Delgersaikhan Danaa, Adiya Rentsenkhorloo, Batbayar Dashnanzad, Evan Millard, Ariunbat Otgonbayar

Distribuzione: Officine UBU

Produzione: IFI Production

Durata: 90'

Data di uscita: 21 settembre 2023

 

 



 

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